«Questo sciopero serve a chiedere rispetto per categorie professionali che tengono in piedi il Servizio sanitario pubblico. È il momento di rispondere con durezza, perché ormai in tutta la categoria prevale un senso di sdegno e di rabbia, siamo indignati dal tradimento che leggiamo nell’attacco alle nostre pensioni, non possiamo sopportare di dover andare a lavoro consapevoli di rischiare ogni giorno un’aggressione e, cosa ancor più importante, non abbiamo alcuna intenzione di starcene zitti e buoni mentre la politica cancella il diritto alla salute dei cittadini». Nelle parole di Bruno Zuccarelli (segretario regionale Anaao Assomed) e Antonio De Falco (Cimo Fesmed) le motivazioni profonde di uno sciopero che a Napoli, così come nelle altre piazze d’Italia, ha visto unirsi migliaia di medici e dirigenti sanitari in un’unica voce.
«Non è servito morire di lavoro – proseguono – ammalarsi di lavoro, cedere tempo di vita, se la sanità continua ad essere considerata solo un costo da tagliare». Se la carenza di medici è un dramma ormai evidente in ogni regione d’Italia, in Campania (dati Ragioneria Generale dello Stato – ISTAT) i dati certificano una situazione ai limiti dell’impossibile. In Campania, al 31.12.2021, il numero dei medici del Servizio sanitario nazionale ammontava a 9.333 e quello degli infermieri a 18.997 per un totale di 28.330 unità. Per essere in linea con le altre regioni, che pure denunciano carenza di personale, occorrono oggi almeno 4.200 medici dipendenti del Ssn in più e, guardando agli infermieri, sono più di 7.000 le unità mancanti. Dati che contribuiscono in maniera significativa a fare della Campania la regione con l’aspettativa di vita più bassa di Italia: per gli uomini 78,8 anni (2 in meno rispetto alla media nazionale) per le donne a 83 (1 anno e mezzo in meno della media). Per i medici le carenze si traducono in un enorme stress lavorativo, sempre più spesso causa di burnout, e continue aggressioni ad opera dei pazienti.
Tante le testimonianze portate alla manifestazione di oggi, tra le quali quella del dottor Alberto Vitale, direttore dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia al Maresca di Torre del Greco. «Dopo una vita trascorsa in corsia, dopo aver sacrificato la famiglia e gli affetti e aver rischiato la vita nel periodo più duro del Covid – dice – ora ci trattano come un bancomat. La sanità non può e non deve essere questo. Ci hanno chiamati eroi, noi volevamo solo, e lo vogliamo ancora oggi, poter fare al meglio il nostro lavoro». Il dottor Vitale, che non ha ancora i requisiti per chiedere il pensionamento, guarda con preoccupazione e frustrazione alle scelte del Governo: «Ormai la sanità pubblica sta virando con decisione verso la sola emergenza, tutto ciò che è elezione finisce dirottato verso il privato o il privato accreditato. Questa è una sconfitta per tutti e i cittadini dovrebbero essere i primi a preoccuparsi e manifestare assieme a noi».
Diversa la situazione del dottor Gaspare Leonardi, che sino a qualche mese fa aveva scelto di prolungare la sua permanenza in servizio fino al limite massimo dei 70 anni, ma che ora, soffocato dal burnout e dai timori di una grave penalizzazione economica, ha invece preferito abbandonare. «Non riuscivo più a sopportare il peso di un lavoro svolto senza le necessarie risorse di personale – racconta – mi sentivo frustrato e devastato dal peso delle responsabilità. Quando si è capito che la legge di bilancio avrebbe penalizzato le nostre pensioni ho scelto di dire basta. Dopo una vita trascorsa nel servizio sanitario pubblico è una scelta che fa male».
Pietro Spinelli, direttore della Gastroenterologia alla ASL di Salerno, ricorda poi che le rivendicazioni dei medici non riguardano solo i timori di un’incomprensibile penalizzazione economica, anzi: «La nostra è una battaglia per il Servizio sanitario pubblico», dice. «Chiediamo che sia depenalizzato l’atto medico, che sia premiato il merito e si assumano più risorse, perché realmente la sanità pubblica sia un bene di ognuno». Anche il dottor Spinelli ha scelto di lasciare e di andare in pensione. Ho scelto di abbandonare dopo una vita spesa alle dipendenze del Servizio sanitario pubblico perché questa non è più una vita sostenibile. Dal 1989 sono nel pubblico e questa situazione mi amareggia e mi delude molto. Non abbiamo mai pensato di essere eroi, ma eravamo convinti di aver reso un buon servizio e di essere stati utili. Non credevamo di essere trattati così e di essere penalizzati in questo modo. I nostri rinnovi contrattuali sono deludenti, non solo dal punto di vista economico, ma anche e soprattutto normativo. Ogni promessa è stata disattesa e delusa».
Allo sciopero ha aderito anche la Nursing UP (sindacato degli infermieri), mentre significativa è stata la presenza di CittadinanzAttiva con il presidente regionale Lorenzo Latella.