Ogni giorno in Italia vengono diagnosticati almeno 30 nuovi casi di tumore in pazienti di età inferiore ai 40 anni, pari al 3% della casistica generale: circa 371mila nuove diagnosi di tumore maligno nel 2019, di cui 196mila negli uomini e 175mila nelle donne. Alla luce di questi dati, e in vista della Giornata mondiale contro il cancro che si celebra domenica 4 febbraio, la Società italiana della riproduzione umana (Siru) richiama l’attenzione sull’importanza di preservare la fertilità nei pazienti in età riproduttiva che ricevono una diagnosi di patologia tumorale e che devono sottoporsi ai trattamenti.
I tipi di cancro più diffusi nell’uomo – ricorda la Siru – risultano essere tumore del testicolo, melanoma, tumore della tiroide, linfoma non Hodgkin, tumore del colon-retto, mentre nella donna sono più frequenti carcinoma mammario, tumori della tiroide, melanoma, carcinoma del colon-retto e cervice uterina. Si tratta quindi di patologie oncologiche con importante impatto sulla capacità riproduttiva del paziente in età fertile.
“La preservazione della fertilità nei pazienti oncologici – afferma Francesca Parissone, coordinatrice del Gruppo di interesse speciale donazione e preservazione della fertilità della Siru – rappresenta ormai una realtà possibile in molti casi. Negli ultimi anni si è via via sempre più concretizzata grazie a nuove strategie terapeutiche: da una parte vengono adottati regimi di trattamenti antitumorali a minore tossicità sull’apparato riproduttivo, dall’altra sono disponibili tecniche consolidate di crioconservazione, ovvero di congelamento di gameti, ovociti e spermatozoi, e tecniche innovative di crioconservazione del tessuto ovarico e testicolare”.
Se la conservazione di ovociti e spermatozoi è ormai una pratica standardizzata e ampiamente diffusa, sicuramente il campo di maggiore interesse e di prospettive future – spiegano gli esperti – è rappresentato proprio dalla crioconservazione del tessuto ovarico, di cui iniziano a essere disponibili sempre più dati e possibilità di esecuzione, e del tessuto testicolare, sebbene sia ancora in una fase sperimentale. Queste due tecniche hanno aperto la possibilità di applicare la preservazione della fertilità anche nella delicata categoria di pazienti colpiti dai tumori dell’infanzia e dell’adolescenza, età nella quale può ancora non essere avvenuto lo sviluppo dell’individuo e quindi è impossibile recuperare ovociti e spermatozoi con capacità di fecondazione. Si tratta di un ambito di avanguardia su cui sono rivolte le attuali sfide scientifiche degli esperti del settore.
“L’oncofertilità – commenta Guglielmo Ragusa, direttore Usd Pma – preservazione fertilità Aoui di Verona – è ormai una vera e propria disciplina che può avvalersi di linee guida nazionali e internazionali, raccomandazioni scientifiche e modelli organizzativi che hanno l’obiettivo di rendere snello e facilmente accessibile il percorso al paziente oncologico che desidera preservare la fertilità; oltretutto si tratta di prestazioni rimborsate dal sistema sanitario nazionale. Malgrado i notevoli passi avanti a cui abbiamo assistito negli ultimi 15-20 anni, ad oggi purtroppo una parte di pazienti, uomini e donne, ancora non riceve le informazioni necessarie sulla possibilità di preservare la fertilità. Quindi, parallelamente al progresso scientifico, andrebbe favorito un processo di consapevolezza della classe medica e di informazione ai pazienti”.
“La Siru è attiva nella promozione della preservazione della fertilità a livello scientifico e divulgativo – dichiara Antonino Guglielmino, fondatore della Siru – attraverso l’organizzazione di webinar dedicati anche in collaborazione con associazioni medico-pazienti, la stesura di articoli scientifici e di linee guida cliniche nazionali in collaborazione con altre società scientifiche. L’impegno per il futuro deve essere rivolto a garantire sempre di più questa possibilità su tutto il territorio nazionale con modelli organizzativi multidisciplinari e tempestivi”.