“O con noi o muori”: questa la frase che accompagna l’ultimo video pubblicato poche ore fa su TikTok da uno dei tanti account riconducibili ai De Micco-De Martino, clan camorristico operante a Ponticelli che lo scorso lunedì 3 aprile ha messo la firma su un agguato finalizzato a stroncare definitivamente le ambizioni dei rivali del clan De Luca Bossa, consacrando la propria egemonia.
Un video che riproduce una violenta sequenza di morte che ritrae due sicari in moto che inseguono la vittima a bordo di un’auto. Una raffica di spari che crivella di colpi la vettura e che si placa soltanto quando i killer sono sicuri di aver ucciso l’uomo per poi allontanarsi dalla scena del crimine impennando, in segno di festeggiamento.
Una dinamica che ben ricostruisce il modus operandi del clan attualmente egemone a Ponticelli e che annovera un discreto numero di soldati dalla mira infallibile che in diverse circostanze, soprattutto di recente, hanno inscenato delle vere e proprie azioni militari condotte senza sbavature. La differenza sostanziale, rispetto all’agguato riprodotto nel video, non va solo ricercata nell’opinabile contrapposizione tra realtà e finzione: mentre il teatro del finto agguato proposto nel video è una strada isolata e attorniata da campagne, i sicari dei De Micco-De Martino prediligono le vie del centro abitato, sprezzanti della presenza di cittadini estranei alle dinamiche camorristiche.
Non vi è alcun dubbio circa l’allusione al recente omicidio di Bruno Solla, 59enne gregario dei De Luca Bossa, uno degli ultimi reduci del clan ancora rimasto a piede libero dopo il blitz che lo scorso 28 novembre ha notevolmente rimaneggiato la cosca del Lotto O, mentre i De Micco-De Martino sono andati incontro al processo inverso, complici una serie di scarcerazioni eccellenti che ne hanno favorito l’ascesa del clan. Solla è stato affiancato da un’auto mentre era a bordo di uno scooter dalla quale sono stati esplosi diversi colpi d’arma da fuoco. Così come suggerisce la frase che accompagna il video pubblicato dall’account “Bodo De Martino Mazzarella vi mettiamo le p…. dove credete di avere la corona” e che come immagine del profilo esibisce il tatuaggio-simbolo dell’affiliazione ai “Bodo” – soprannome dei De Micco – Solla potrebbe aver pagato con la vita il diniego di sottostare alle imposizioni dei De Micco. Un atto di irriverenza analogo fu fatale anche a suo fratello, Salvatore Solla, ras dei De Luca Bossa ucciso in circostanze analoghe nel dicembre del 2016. Un omicidio interamente ricostruito dagli inquirenti attraverso l’intercettazione dei messaggi inviati tramite telefoni “usa e getta” per pianificare le varie fasi dell’agguato.
Un delitto eccellente che all’epoca consacrò l’egemonia dei De Micco, proprio come accaduto di recente.
Una leadership festeggiata poche ore dopo l’agguato in cui Solla ha perso la vita con un fragoroso spettacolo pirotecnico che ha coinvolto tutti i rioni in cui vivono le figure apicali del clan De Micco-De Martino e che si è protratto fino a notte fonda. Se i due sicari ritratti nel video si sono limitati ad andar via impennando, i leader di Ponticelli hanno ostentato la forza e la supremazia conseguiti “buttando a terra” una figura di spicco del clan rivale, disegnando per diverse ore nel cielo di Ponticelli una pioggia di fuochi d’artificio. Un rituale tribale segno di prosperità e sfarzo, non solo perchè supportato da un’importante disponibilità economica, ma anche perchè sinonimo di felicità e conquista. I fuochi d’artificio di solito contornano feste ed eventi propizi, meritevoli di essere festeggiati e condivisi dall’intera popolazione. Questo ha imposto agli abitanti del quartiere quella pioggia di botti esplosi poco dopo l’omicidio di Solla.
Il video pubblicato poche ore fa, altro non rappresenta che l’ulteriore conferma dell’impellente necessità del clan di rivendicare la propria firma su quell’agguato, affinchè tutti sappiano che i De Micco-De Martino attualmente troneggiano su Ponticelli. Una necessità impellente dalla quale trapela tutta l’impulsività della camorra 2.0: quella che si pratica sui social, con i tatuaggi e a suon di stories e messaggi eclatanti e plateali che devono necessariamente seguire soprattutto le azioni camorristiche più importanti, anche se questo può voler dire sbugiardarsi agli occhi degli inquirenti. Una necessità ingestibile che scaturisce dal prioritario bisogno di marcare la scena con spocchia ed irriverenza, una priorità riconducibile soprattutto alle giovani leve, quelle che masticano il linguaggio moderno e che vivono nell’era dei social, incapaci di discernere la realtà dalla finzione, al pari delle azioni innocue da quelle penalmente perseguibili. Una generazione giovane, sfrontata, scellerata che soprattutto sui social network lascia tracce tangibili delle proprie malefatte, perchè incapace di domare l’adrenalina e il livore che animano le gesta degli interpreti della malavita più autorevoli e ribelli, quelli per i quali per un anno o due trascorsi da leader della camorra, vale la pena di trascorre i prossimi 10, 20, 30 anni in carcere. Un sacrificio necessario per mantenere alta la bandiera del clan d’appartenenza, sprezzanti delle conseguenze e dei rischi annessi.
Un tempo il prioritario intento perseguito dai camorristi era l’omertà, quel paravento solido e sicuro dietro il quale rifugiarsi all’indomani di un delitto eccellente. Oggi quegli stessi interpreti della malavita “comprano i mandati di cattura”, questo il commento più frequentemente associato ai video pubblicati sui social simili a quello sopracitato. Come se attirare l’attenzione degli inquirenti sulle proprie responsabilità sia motivo di vanto ed orgoglio, oltre che un modo palese di sfidare tutte le forze in campo: i soldati dell’esercito del clan rivale, ma anche quello che per conto dello Stato ugualmente combatte questa guerra.