Continua ad infittirsi la trama che avvolge l’ultimo episodio di cronaca andato in scena a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli, dove poco dopo le 21, una 20enne del posto, N.N., è rimasta ferita da un colpo d’arma da fuoco nei pressi della sua abitazione in via Crisconio, nei pressi dell’abitazione del giovane Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa, freddato da un killer solitario lo scorso ottobre.
Immediatamente trasportata al pronto soccorso del vicino ospedale Villa Betania, la giovane ha spiegato agli agenti del locale commissariato che l’hanno raggiunta per raccogliere la sua deposizione che sarebbe stata raggiunta dal proiettile che l’ha ferita a un piede al culmine di un tentativo di rapina. La giovane ha dichiarato che mentre stava rincasando sarebbe stata avvicinata da un rapinatore che l’ha poi ferita, puntando l’arma verso il basso per poi esplodere il colpo che le ha procurato la ferita.
Il vero colpo di scena è giunto poco dopo, quando il fratello della donna si è presentato al commissariato di Ponticelli spiegando di aver sparato alla sorella per futili motivi e di aver nascosto l’arma a casa di un parente. Gli agenti, una volta entrati nell’appartamento indicato hanno rinvenuto la pistola, una Beretta calibro 7.65 con matricola abrasa e con 8 cartucce. L’arma era stata nascosta in un’intercapedine ricavata nella controsoffittatura.
Seppure il 38enne fratello della vittima sia stato tratto in arresto con l’accusa di porto e detenzione d’arma clandestina e di lesioni aggravate, la versione dei fatti da lui fornita non convince.
L’uomo avrebbe spiegato di aver sparato alla sorella per “punirne” l’adulterio, in quanto avrebbe scoperto che la giovane stesse intrattenendo una relazione extraconiugale.
Tuttavia, la 20enne, sposata e madre di due figli, viene descritta come una giovane devota alla famiglia e con la testa sulle spalle e soprattutto per questo la versione fornita agli inquirenti dal fratello appare tutt’altro che convincente. Non solo perchè la giovane avrebbe mentito agli agenti, simulando di essere stata vittima di un tentativo di rapina, in quanto sembra plausibile che sia stata indotta a mentire dal desiderio di coprire il fratello.
Amici e conoscenti dei protagonisti della vicenda sono fortemente convinti che il 38enne sia stato costretto ad addossarsi la colpa per coprire il reale autore dell’agguato.
Chi conosce bene il 38enne lo descrive come un bravo ragazzo, tutt’altro che avvezzo ad abbracciare le armi, meno che mai lo reputa capace di adottare una simile condotta per fare del male al sangue del suo stesso sangue.
Inoltre, ad incupire l’intera vicenda concorrono i vincoli di parentela che intercorrono tra la giovane e alcuni personaggi di spicco della malavita locale.
Tantissimi i quesiti che rimbalzano di bocca in bocca lungo la strada teatro dell’accaduto. Uno su tutti: in un momento storico concitato come quello che Ponticelli sta vivendo attualmente, con i soldati dell’egemone clan De Micco che presidiano le strade del quartiere per rivendicare un controllo capillare del territorio, come può un civile qualunque, impugnare un’arma per risolvere un contenzioso di carattere personale, a due passi dal fortino del clan?