Giuseppe Misso, detto Peppe ‘o chiatt’, classe 1976: un uomo che la camorra l’ha vissuta a 360°. Boss dell’omonimo clan che per decenni ha dettato legge tra i vicoli del centro storico di Napoli, nel 2007, rinnega la vita criminale e diventa collaboratore di giustizia. Ascoltato in 155 processi, non è mai stato smentito, pertanto gli inquirenti lo reputano un testimone attendibile.
C.S., 25 anni, madre di due figli e una consolidata carriera criminale già alle spalle. Rimane vedova all’età di 23 anni, quando la camorra, nell’ambito di un regolamento di conti, le uccide il marito, appena due mesi dopo il fatidico sì. La voglia di “portare avanti quello che il marito ha iniziato”, come lei stessa racconta, è più forte della paura di lasciare soli al mondo due bambini che avevano 4 anni e 16 mesi, quando il padre venne giustiziato da una crivellata di colpi.
C.S. è stata una delle prime, vere e sfrontate donne-boss della storia della “nuova camorra” e forse lo è ancora. A dispetto della pena che sta scontando ai domiciliari e del processo in corso che stabilirà quanto consolidata fosse la sua figura all’interno dell’assetto criminale del clan D’Amico di Ponticelli che annovera la sua roccaforte tra i grigi palazzoni del Rione Conocal, la donna non mostra alcun segno di pentimento né tantomeno accenna al desiderio di cambiare vita.
È proprio lì, nel Rione Conocal di Ponticelli, che la donna sta scontando i domiciliari. Accetta di raccontarsi dietro una serranda abbassata, in una sorta di confessionale improvvisato, per accertarsi di proteggere la sua identità, senza rinunciare a quel desiderio di esibizionismo che rappresenta una perpetuo tratto distintivo dell’indole degli interpreti della camorra di qualunque era.
Due facce della stessa medaglia che, però, raccontano una camorra mutata, nell’assetto strutturale, operativo ed organizzativo, ma, anche e soprattutto, nei dogmi e nei principi ispiratori, in una sorta di passaggio del testimone che vede il declino della “classica” ed ormai superata figura dell’autorevole boss che ha ceduto il posto alle donne e ai giovani gruppi di baby-boss. Le paranze, i bulli che in maniera più o meno consapevole, vengono indottrinati per delinquere fin dai primi vagiti, proprio da loro, dalle “mamme-camorra”.
Un vecchio boss, una lady-camorra, due diversi, ma ugualmente autorevoli, interpreti della malavita, a confronto in una sorta di “viaggio dentro la camorra” per comprenderne i principi distintivi e le caratteristiche cruciali:
Chi è il collaboratore di giustizia?
Misso: “Il collaboratore di giustizia, il vero collaboratore e non chi lo diventa per tornaconto personale, è un mezzo indispensabile per la procura di Napoli. La storia insegna che puoi disporre di qualsiasi tecnologia, ma se non è il pentito a prenderti per mano, non potrai mai addentrarti nelle dinamiche del clan, né tantomeno nella testa di un camorrista.”
C.S.: “Un infame che merita di morire, non è degno di esistere al mondo.”
Cos’è la camorra?
Misso: “La camorra è surreale, un contenitore del male. Il vero camorrista, non è altro che un uomo solo, dal momento che non ha valori, non crede nell’amore, non crede nell’amicizia, diffida sempre di tutti, dà per avere in cambio sempre qualcosa. Premesso ciò, devo fare una distinzione tra i vecchi camorristi e quelli della nuova generazione. Il camorrista “old style” insegna che meno guerre ci sono più gli affari vanno bene. Quando ci sono faide di camorra è inevitabile la repressione dello Stato. I giovani malavitosi di oggi son più esaltati, psicotropi, cocainomani, propensi a riversare la loro violenta arroganza sui più deboli. Non cercano il rispetto, vogliono fare paura. Emulano i guerrieri dell’Isis e a tratti ne prendono le sembianze, non hanno più rispetto delle donne, dei bambini, di chi la mattina si alza e va a lavorare onestamente e ammazzano per una sigaretta negata. Dei veri sciacalli del male.”
C.S.: “La camorra l’avete inventata voi giornalisti, almeno oggi, non esiste più. Oggi, ci stanno tanti finti guappi a ogni angolo della strada che pensano che possono comandare solo perché tengono “il ferro” – la pistola – addosso. La camorra è quella che guadagna i miliardi, con gli imprenditori e le attività che fruttano i soldi veri. Oggigiorno ci è rimasta solo la droga. Le piazze sono tante e le bocche da sfamare anche di più. Si spaccia per dare da mangiare ai figli, per portare a casa lo stipendio di un operaio.”
Per capire da dove nasce il fenomeno dei baby-boss è necessario soffermarsi sull’educazione che gli viene impartita dalle madri. Com’è cambiato il ruolo della donna in ambito camorristico?
Misso: “Oggi la camorra si serve sempre più delle donne, o meglio, in alcuni clan la donna comanda. Cosa che in passato non è mai esistita. Il mio clan aveva un concetto ben delineato della camorra e ancora più definiti erano i ruoli e le gerarchie, così come avveniva in tante altre famiglie della “vecchia camorra”, come i Mazzarella e i Contini. Le donne badavano a portare la famiglia avanti ed erano fuori dai contesti malavitosi, tant’è vero che nessuna delle donne del mio clan è stata mai arrestata, poi con gli anni tutto cambia e si è arrivati a coinvolgere tutti, donne e bambini inclusi.”
C.S.: “Nessuno ci ha obbligato a farlo. Per noi è un fatto normale. Se non ci stai dentro a certe cose, non puoi capire. Se nasci in una famiglia di macellai, quello è probabilmente il mestiere che impari. Per i nostri figli, il futuro è questo. La mano più grande, soprattutto all’inizio, ci è stata data da loro, dai nostri figli, perché ai bambini non gli possono fare niente. – minori non sono penalmente perseguibili – È per loro che lo facciamo, per farli mangiare. Se non guadagniamo, loro non mangiano. Ai bambini che nascono nei posti perbene, le madri possono raccontare le favole. Noi li dobbiamo educare alla vita, subito. “Vita mia, morte tua”: prima lo imparano e meglio è.”