“Ciao, sei una giornalista vero? Si vede dal modo in cui scrivi sui ragazzi delle periferie che sei una persona splendida.
Io sono un ragazzo di Scampia, detenuto ai domiciliari, dopo 6 anni di detenzione al carcere oggi dovevo essere scarcerato, se mi concedevano i giorni di liberazione anticipata, ho sempre avuto una buona condotta all’interno del carcere proprio grazie a quella brutta esperienza ho capito tante cose, progredendo in tante aspettative, ho studiato, ho preso un diploma, parlo tre lingue straniere.
Il punto è questo volevo far capire a tante persone del nord, moralisti che dicono che noi napoletani sappiamo solo rubare perché ci piace e ce l’abbiamo nel sangue, ma non è cosi, qui a Napoli oltre alle forze dell’ordine, mancano centri di recupero di formazione, ecc. Non tutto è frutto di volontà, ma a volte è necessità mixata con esempi sbagliati.”
A scrivere queste parole è Walter Mallo, il giovane boss 25enne ritenuto reggente dell’omonimo clan, arrestato oggi a Napoli con i suoi uomini di fiducia, Paolo Russo e Vincenzo Danise, entrambi di 25 anni.
Mallo ha una lacrima tatuata sotto l’occhio sinistro. Proprio questo segno particolare mi ha consentito di associare il boss di oggi, al ragazzo con il quale, nel settembre del 2014, ho chattato per qualche tempo.
All’epoca, Walter aveva un aspetto molto più esile, seppure fosse abbastanza muscoloso. Infatti, trascorreva gran parte delle sue giornate ad allenarsi, a pompare i muscoli. Lo faceva per sfogare la rabbia che covava dentro, mi raccontava.
Quelle conversazioni avvenute attraverso la chat di facebook, oggi, acquistano un valore notevole, perché delineano uno scenario inedito e che tanto racconta dei giovani criminali a capo delle “paranze” che stanno disseminando sangue e terrore lungo le strade partenopee.
“La cosa più disgustosa – mi scriveva Walter Mallo – che io abbia mai potuto vedere e sentire nella mia vita, quando quel lurido incosciente di Feltri, il direttore del quotidiano in diretta a Matrix, nella puntata dedicata a Davide Bifolco, un ragazzo lo salutò, e lui con quella ironia da 4 soldi, disse “cia statt buon” prendendo in giro il nostro dialetto invece di addentrarsi nella situazione critica traendone una soluzione, perché un sociologo e un vero saggio, non criticano mai qual essa sia la situazione, ma cercano di capirne la motivazione.
Come si può essere così crudeli e ignoranti?
Quella è pura ignoranza! Io voglio capire che noi napoletani abbiamo un modo tutto nostro di pensare, ma questa è gente che ha interesse a far si che le cose qui restino come sono o peggiorano.
A quale scopo? Perchè provare tanto odio?
Perché uno come Salvini, deputato della lega, con la birra in mano a cantare “senti che puzza stanno arrivando i napoletani” un atteggiamento del genere non è per niente umano, che esempio può dare un uomo se così vogliamo chiamarlo, come quello?”
Si fa fatica ad identificare il volto di un boss, tra i pensieri e le parole che raccontano chi era Walter Mallo, nel settembre del 2014.
Un ragazzo che aveva un disperato bisogno di raccontarsi, di contenere o di sfogare – dipendeva dai casi – la rabbia che covava dentro.
Una rabbia condivisa da molti ragazzi delle periferie e che nasce dalla frustrazione legata al degrado, alla solitudine, alla mancanza di alternative e perfino dal senso di incomprensione e desolazione che deriva da quel palpabile mantello di discriminazione che avvolge le loro vite.
Walter era armato delle migliori intenzioni, non voleva perdersi di nuovo, credeva in quello che diceva e trascorreva interminabili ore al pc, ad inviare messaggi pregni di rabbia e rancore a tutti coloro che “sputtanavano” Napoli, giornalisti, politici, personaggi dello spettacolo, perché era stanco di combattere contro i mostri che quei pregiudizi avevano radicato nella sua vita. Era inviperito con quella classe politica incapace di tenergli una mano e disegnare un’opportunità onesta nel suo futuro.
E, soprattutto, il tormento più grande di Walter aveva un nome e un cognome: Davide Bifolco, il giovane ucciso da un carabiniere, proprio nel settembre del 2014, tra le mura del Rione Traiano, un contesto tutt’altro che dissimile a quello in cui si è formato umanamente l’attuale boss del clan Mallo.
Non riusciva ad accettare quell’ingiustizia, Walter, perdeva la testa quando si parlava di Davide e diventava aggressivo. La rabbia che covava dentro lo accecava. Inveiva, imprecava, scriveva frasi senza senso. Diventava “cattivo”.
Ne era consapevole, ma non riusciva a controllare le sue emozioni.
Questo fu il motivo per il quale iniziai gradualmente a non rispondere più ai suoi messaggi.
Walter voleva vedermi, nonostante fosse agli arresti domiciliari. Insisteva per incontrarmi. Diventava sempre più insistente.
Non mi fidavo di lui, nonostante credessi alla sua buona fede, perché, già allora, la rabbia che covava dentro era una bomba a orologeria e, oggi, è esplosa in tutta la sua ferocia.