È un fenomeno dilagante, allarmante e in sensibile ascesa che invita a tenere gli occhi aperti non solo quando si apre l’uscio di casa a degli sconosciuti, ma anche e soprattutto quando si smanetta con i messaggi di posta elettronica.
L’allarme giunge, infatti, direttamente dalla polizia postale che invita a prestare massima attenzione alle mail-ricatto contenenti un nuovo virus capace di sortire innumerevoli danni.
Ad essere colpiti non solo i cittadini, ma anche enti pubblici, istituti bancari ed aziende e il cospicuo numero di famigerati siti internet finiti in balia dei pirati informatici, negli ultimi tempi in particolare, ne è la riprova. Secondo quanto accertato dalla polizia postale l’utente “colpito” si trova nella casella di posta elettronica una mail, inviata quasi sempre da un mittente presente nella lista contatti, che indica che un acquisto, in realtà mai effettuato, è andato a buon fine. La mail, oltre ad infettare il computer e il server, è in grado di impossessarsi di dati sensibili, tra cui codici e numeri di carta di credito. Ma c’è dell’altro: nel momento in cui il virus attecchisce all’interno del nostro server, lo prende letteralmente in ostaggio.
Nel momento in cui il server è contaminato dal virus, infatti, si aziona un contatore automatico che configura “il riscatto da pagare” per rientrare in possesso del server che, pertanto, appare criptato.
Una volta scaduto il tempo prefissato per effettuare l’accredito della cifra stabilita sul conto indicato, per ogni ulteriore ora trascorsa senza adempiere al pagamento, scatta una sorta di “tasso d’interesse” quindi un cifra aggiuntiva che va ad addizionarsi al “riscatto”.
Le ipotesi fin qui configurate dalla polizia postale per risalire ai vertici di questa autentica organizzazione criminali sono le più disparate: c’è chi individua nell’Europa dell’est la base operativa, chi punta il dito contro Cina e Giappone e chi, addirittura, giunge a concludere che dietro questo sistema si celi il braccio armato dell’Isis.
In verità, i dati fin qui in possesso sono troppo labili per giungere a conclusioni certe: in primis, la dislocata provenienza geografica delle mail, fino alla capillarizzazione del fenomeno che lascia presagire che il bombardamento virtuale al quale è sottoposta la nostra posta elettronica sia frutto di una ripartizione dei territori ben definita e che pertanto alla base vi sia un piano, dettagliato e meticoloso, finalizzato a mietere il maggior numero di vittime ed estorcere il maggior quantitativo di denaro auspicabile.
L’espediente più semplice del quale avvalersi per non finire nella suddetta ed infima trappola virtuale è prestare la massima attenzione al testo delle mail e soprattutto non cliccare mai su link inviati da amici che ci parlano con toni generici.
Un amico ci parla con un linguaggio “amichevole”! È sempre bene ricordarlo.