“Mi chiamo Alfonso Villani, ho 23 anni e nelle mie vene scorre sangue napoletano, perché, anche se vivo a Falconara da 20 anni, sono nato a Torre del Greco.
Ieri sera, intorno alle 20.00, ho preso la pistola di mio padre che di mestiere fa la guardia giurata e l’ho portata con me nella camera da letto dei miei genitori.
È lì che ho deciso di spararmi un colpo dritto al petto.
Volevo uccidere quel dolore che stanziava lì, proprio lì, come un insopportabile macigno e allora gli ho sparato, mandandolo in frantumi insieme alla mia giovane vita.
Ero uno studente universitario di giorno e un lavoratore di notte: facevo il sorvegliante.
Ero timido, riservato, mi piaceva andare in palestra.
Ero quello che all’apparenza viene definito “un ragazzo normale, un ragazzo come tanti.”
Nessuno saprà, potrà e vorrà spiegarsi il mio gesto.
Al cospetto di una vita che sceglie di sradicarsi dalla terra nel fiore degli anni, gli occhi si riempiono di follia e questo depaupera lucidità e raziocinio.
Forse l’inferno che si respirava tra le mura domestiche in virtù della situazione delicata che sta attraversando la mia famiglia è la motivazione più palpabile.
Solo io conosco le motivazioni che mi hanno spinto a premere quel grilletto e ho voluto che rimanessero solo e soltanto mie, sottolineando, ancora una volta, quella riservatezza che contraddistingue la mia persona e la mia mancata volontà di render partecipe qualcuno di quei tormenti che mi infuocavano l’anima.
Una sofferenza sottovalutata dalle persone a me vicine e sulla quale, forse, aiuteranno a far luce i computer sequestrati dai carabinieri.
Per il momento quello sparo letale generatore di morte, ha dissolto la mia vita nel silenzio e nel vuoto: le cornici ideali nelle quali ricercare la pace.
Assenza di suoni, assenza di dolore. Ma, purtroppo, anche assenza di vita.”