Io e Valentina ci siamo conosciute il giorno del suo onomastico: il 14 febbraio.
Perché non importa quale nome maschile fosse inciso sulla sua carta di’ identità, lei era “Valentina” nell’anima.
Primo trans, veracemente ed orgogliosamente napoletano, ad intraprendere la carriera neomelodica, ha saputo ben presto diventare un’icona, soprattutto grazie al suo tormentone “Ok” fino a giungere alla partecipazione nel film “Passione” di Torturro che le regalò finanche la sfilata sul red carpet della Mostra del cinema di Venezia, Valentina era un vulcano di solarità e vitalità, uno di quelli ai quali si fatica ad accostare la parola “morte”.
Già, stroncata da un male incurabile, Valentina si è spenta ieri.
La notizia, diramata ufficialmente dal cantante Alberto Selli, ha scosso e turbato amici e fan che erano all’oscuro di tutto, in quanto, Valentina aveva scelto di affrontare la lotta più cruenta della sua vita, ritirandosi nelle stanze più intime e nascoste della vita.
Lontano da tutti, lontano da quei riflettori ai quali mai avrebbe pensato di sottrarsi, perché era lampante che la musica, la carriera erano per lei i più eloquenti sinonimi di “vita”.
Deturpata e sfinita da quella cruenta “lotta per la vita” che lentamente l’ha portata a consumarsi, Valentina voleva fortemente preservare quell’immagine di donna fulgida dal temperamento esplosivo che, a suon di programmi tv e canzoni, aveva costruito negli anni.
Quel giorno, quando l’ho conosciuta, le proposi un’intervista e l’entusiasmo di cui era pregno il suo convinto consenso, lasciava presagire tutt’altro che trovarsi al cospetto di una vita ed una carriera prematuramente al tramonto.
Quello che mi colpì maggiormente fu l’amichevole cordialità che Valentina preservò ad un’estranea, scevra di quelle capricciose pretese da “star”, altamente in distonia con il suo status d’artista, ma più conformi alla semplicità della sua persona.
Tant’è vero che, da quel giorno, in qualche modo, siamo diventate amiche.
Sporadicamente, ci scambiavano dei messaggi che convergevano sempre in un “Kiss tesò” e nel mezzo c’era tutta la sua genuina cortesia.
L’intervista divenne una sorta di gioco, sul quale fantasticare, perché, all’epoca, “Napolitan” non era ancora avviato e sapevo che avrebbe visto la luce nei mesi successivi.
Non potevo sapere che avrei dovuto ridimensionare la mia percezione del tempo per “immortalare Valentina”, ma, del resto, sovente accade che la vita si prenda gioco di noi.
“Il tempo” a nostra disposizione è prezioso.
Valentina ha soltanto voluto ricordarlo e sottolinearlo.
Avevamo pattuito che a settembre, davanti ad un buon caffè, ci saremmo concesse questa cavalcata nella sua vita. Ed, invece, mi ritrovo seduta ad un tavolino da sola, a sorseggiare un’amara realtà.
Non saprò mai cosa mi avrebbe raccontato di lei Valentina, ma gli effimeri e fugaci scampoli in cui ho sfiorato la sua vita, mi permettono di comprendere esattamente come avrebbe voluto essere ricordata e soprattutto di tamponare, almeno in parte, l’eterna lacuna sortita dall’intervista mancata con poche parole, non partorite dalla giornalista, ma da un’anima entrata in empatia con un’altra anima, per la quale ha nutrito profonda e sincera stima.
Valentina era una donna fortunata, perché nata, vissuta e sostenuta da una famiglia che l’ha incondizionatamente amata, in quanto essere umano, a prescindere dal sesso, ma comunque tormentata dal becero e gretto pregiudizio, dalla cattiveria e dalla discriminante e feroce idiozia di taluni “esseri” che nulla hanno di umano.
Non è facile fare i conti con la propria identità sessuale. E quando ti accorgi che i panni che indossi ti stanno terribilmente stretti, lo è ancora di più.
Non è facile decidere di cambiare sesso e permettere alla vera essenza che ti vive dentro di lasciarsi accarezzare dalla luce del sole.
Non era facile essere Valentina, ma lei, con quel suo modo, umile, schietto e vitale, di essere e di fare, lo rendeva sorprendentemente semplice.
Una come te non vorrebbe mai, in nessun caso, un saluto struggente: “Kiss tesò!”
Stavolta te lo scrivo io ed è terribilmente triste sapere che è “l’ultimo saluto”.