A una settimana di distanza dall’agguato in cui è rimasto ferito un 18enne in via Luigi Franciosa a Ponticelli, emergono dettagli importanti, oltre che utili a chiarire la dinamica dell’accaduto.
Uno scenario preciso e circostanziato quello ricostruito dagli abitanti del rione Conocal di Ponticelli che rivelano un serie di retroscena cruciali che riguardano D.F., il 18enne gambizzato lo scorso 10 novembre nel fortino dei Casella, pochi giorni dopo l’arresto, avvenuto in via delle Repubbliche Marinare a Barra, al culmine di un breve inseguimento da parte dei carabinieri. Il 18enne, in quella circostanza, si trovava a bordo di uno scooter, in compagnia di un minorenne imparentato con i ras di via Luigi Franciosa. Malgrado l’alt imposto dai militari, i due tentarono di fuggire, innescando un inseguimento, al termine del quale furono trovati in possesso di una pistola replica e di una maschera Scream a tema Halloween.
Un volto noto della scena malavitosa locale, nonostante la giovane età, così come comprovano le dozzine di fotografie presenti sui social network che lo ritraggono accanto ai rampolli di diverse famiglie camorristiche dell’ala orientale di Napoli: non solo i Casella, ai quali il 18enne si sarebbe avvicinato di recente, ma anche gli Aprea di Barra e i D’Amico di Ponticelli. Nei mesi precedenti, infatti, il giovane era approdato alla corte del clan del Conocal per il quale svolgeva diversi incarichi, principalmente quello di pusher. Malgrado la giovane età, godeva della fiducia delle figura apicali del clan, tant’è vero che dormiva nell’abitazione di una delle figlie del boss Antonio D’Amico.
Un equilibrio bruscamente interrotto poco dopo la morte di Vincenzo Costanzo, il 26enne ras del Conocal ucciso in un agguato di camorra lo scorso maggio, durante i festeggiamenti per la vittoria del terzo tricolore azzurro.
Lo scorso giugno, infatti, stando al racconto degli abitanti del rione Conocal, il giovane sarebbe andato incontro allo stesso destino che i vertici del clan hanno riservato a molti altri gestori di piazze di droga operanti sotto le loro direttive: accusato di aver sottratto con l’inganno dei soldi all’organizzazione, avrebbe subito un brutale pestaggio da parte delle figure di spicco del clan che gli avrebbero poi intimato di continuare a lavorare per loro a titolo gratuito fino a quando il debito così contratto non si sarebbe ritenuto estinto.
Una strategia ormai chiara e ricorrente quella adottata dai D’Amico, dietro la quale si cela la prioritaria necessità di ringalluzzire le casse del clan limitando le spese, motivo per il quale in più circostanze hanno optato per lo stesso espediente che prevede il repentino passaggio degli affiliati dal libro paga del clan alla black list dei creditori. Uno status brutalmente modificato inscenando un violento pestaggio che fa seguito all’infamante accusa di aver cercato di frodare l’organizzazione, trattenendo alcuni proventi delle attività illecite che avrebbero così generato un ammanco di denaro nella cassa del clan. Un’accusa pesante, alla quale i sodali finiti nell’occhio del ciclone non possono sottrarsi, in virtù dell’oggettiva impossibilità di provare la loro innocenza e così si trovano incastrati in una situazione che sono costretti a subire, diventando delle pedine nelle mani dei vertici del clan che possono disporre di loro come meglio credono: è così che si vedono obbligati a lavorare gratuitamente per l’organizzazione, chissà per quanto tempo, a riprova dell’efficacia del piano ordito dalle figure apicali della cosca.
Una macchina diabolica innescata per ottenere il massimo risultato in termini economici, riconoscendo il minimo sforzo ai gregari. Una condizione alla quale il 18enne gambizzato lo scorso 10 novembre in via Luigi Franciosa si era ribellato, rompendo il rapporto d’affari con i D’Amico per confluire proprio nel gruppo di giovanissimi rifondato dai Casella.
Uno scenario che consente di analizzare il raid in cui è rimasto ferito proprio il 18enne sotto tutt’altra luce e che legittima l’ipotesi dell’azione ritorsiva, in un momento storico in cui i rapporti tra i Casella e i D’Amico avevano già raggiunto l’apice delle ostilità.