Era la notte tra il 23 e il 24 febbraio 2022, quando le truppe russe, da settimane schierate sempre più vicino ai confini con l’Ucraina, iniziano un’invasione di cui oggi, 365 giorni dopo, non si vede ancora la fine. Il presidente russo Putin la definiva “un’operazione militare speciale” per “demilitarizzare e denazificare” l’Ucraina, difendendo la sua popolazione di etnia russa.
Nei momenti di maggior successo dell’offensiva russa, Mosca era riuscita a controllare il 27% dell’Ucraina. Oggi ne occupa tra il 15% e il 20%. Il blitz di tre giorni che aveva in mente Putin non è andato come sperava. L’Ucraina non è ancora capitolata e non sembra disposta a cedere.
Il conflitto ha ufficialmente inizio quando i russi entrano in Ucraina dal confine bielorusso a Nord, da quello con la Crimea a Sud e da quello russo a Est e Nord-Est. Sul fronte settentrionale partono spediti su Kiev. Puntano all’Aeroporto di Hostomel, a meno di 10 km più in su della Capitale. Vedono fallire il loro piano di impossessarsene. È chiaro che la risposta degli ucraini è più di quello che si aspettassero. Da qui in poi, la guerra lampo si trasforma in guerra d’attrito, concentrata nelle zone meridionali e orientali dell’Ucraina.
Partono le sanzioni dei leader occidentali contro Mosca, iniziano i negoziati di pace. Il primo appuntamento tra le delegazioni russe e ucraine è in Bielorussia. Falliranno tutti i tentativi di mediazione. Marzo comincia con l’assedio della città di Mariupol, porto strategico sul Mar d’Azov. Poi i russi annunciano la conquista di Kherson e attaccano Zaporizhzhia, dove si trova la centrale nucleare più grande d’Europa, quella di Enherodar.
All’inizio di aprile, i russi abbandonano la cittadina di Bucha, pochi chilometri a nord di Kiev. Dietro di sé lasciano un massacro: centinaia di corpi torturati e seviziati vengono trovati nelle fosse comuni che diventano un simbolo del conflitto e spingono l’Occidente a colpire ancora più duramente Mosca, Putin e gli oligarchi russi sanzione dopo sanzione. A Mariupol, intanto, gli ucraini si barricano dentro l’acciaieria Azovstal, costantemente attaccata dalle forze del Cremlino.
Svezia e Finlandia lanciano un messaggio a Mosca, rompendo la loro neutralità e avanzando domanda di adesione alla Nato. Mariupol cade intanto in mano ai russi che si muovono per conquistare anche Severodonetsk, nella regione separatista del Lugansk. Gli ucraini fanno partire la loro controffensiva per riprendere il controllo di Kherson, mentre da Stati Uniti ed Europa arrivano in Ucraina sempre più armi. A giugno, sfumato il sogno di Zelensky di portare il suo Paese nella Nato, l’Ue concede all’Ucraina lo status di candidato.
Mosca prova a prendere Odessa, porto strategico nel Sud dell’Ucraina e snodo centrale per le esportazioni di grano dall’Est Europa al resto del mondo. Putin spinge nel frattempo sullo stop alle forniture di gas per spaventare i Paesi che appoggiano Kiev: Gazprom riduce le forniture di energia tramite il Nord Stream, che a settembre viene colpito da due esplosioni. Non si ferma nel frattempo l’avanzata degli ucraini per riprendere i territori in mano ai russi: centinaia di città vengono riconquistate, soprattutto nell’area di Kharkiv.
All’inizio di ottobre il Ponte di Kerch, che collega la Penisola di Crimea alla Russia, è teatro di esplosioni che vengono subito attribuite a Kiev. Mosca risponde attaccando le infrastrutture energetiche ucraine, lasciando milioni di civili senza acqua ed elettricità. Si inizia a temere per i mesi più freddi.
All’esito di quattro referendum, la Russia riconosce come suoi i territori delle regioni di Donetsk, Lugansk, Kherson e Zaporizhizhia. Si rischia l’escalation mondiale quando, in Polonia, due missili cadono al confine con l’Ucraina uccidendo due persone. Si scopre poi che si è trattato di un incidente: le armi provenivano da Kiev.
A dicembre, Zelensky – dopo aver parlato più volte in videoconferenza con le sedi parlamentari delle potenze occidentali – vola per la prima volta fuori dall’Ucraina, per andare a Washington. Il 2023 si apre con la richiesta di Kiev di ulteriori aiuti militari e, dopo qualche tentennamento, la Germania accetta di spedire i carri armati Leopard 2, dagli Usa arriva l’ok all’invio dei suoi Abrams e da Londra quello per i Challenger.
Il 25 gennaio l’Ucraina perde la battaglia di Soledar, vicino Bakhmut, luogo dal valore simbolico di “una Stalingrado in miniatura”, spiega Yuriy Podolyaka, analista militare e blogger ucraino filorusso.
A ridosso dell’anniversario della guerra, Putin annuncia la sospensione del trattato New Start, accordo sulla riduzione delle armi nucleari strategiche in vigore con Washington. Sul conflitto pesa l’ombra di un possibile allargamento: tra Mosca e Kiev volano accuse reciproche di invadere la Transnistria, regione separatista e filorussa della Moldavia.
Nel giorno del primo anniversario dell’invasione russa in Ucraina decine di piazze in Italia sonno teatro di manifestazioni e sit in per chiedere che si aprano negoziati di pace e cessino i combattimenti.
Articolo 21 ha organizzato una marcia per la pace PerugiAssisi che partita alla mezzanotte del 23 febbraio e giunta alla basilica di San Francesco nel corso della mattinata di venerdì 24 febbraio.