Nuovi importanti sviluppi sui casi di avvelenamento da mandragora nel Napoletano: la causa del problema potrebbe non essere stata la mandragora, bensì lo stramonio.
Il direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno Gennaro Limone, partecipando all’audizione della commissione Agricoltura della Regione Campania sui casi di avvelenamento da mandragora in provincia di Napoli, ha reso noto che “dalle analisi compiute è emerso che sicuramente l’avvelenamento è stato di origine vegetale“.
Lo stesso Limone ha poi aggiunto: “Si è trattato di una partita di spinaci contaminati provenienti da Avezzano, probabilmente da una coltura a campo aperto. Di fronte al verificarsi di questo allarme, c’è stata un’importante reazione di filiera istituzionale per isolare la partita, ricostruire la sua catena distributiva e prevenire ulteriori casi. Ovviamente quanto avvenuto non compromette, per il futuro, la sicurezza del prodotto alimentare. Per quanto riguarda il nostro Istituto, provvederemo a pubblicare sul sito internet le immagini delle più comuni piante che possano essere responsabili di avvelenamenti”.
All’audizione sulla sicurezza agroalimentare hanno preso parte, tra gli altri, il presidente dell’Osservatorio Regionale Sicurezza Alimentare, il direttore dell’Orto Botanico di Napoli, le associazioni dei consumatori della Campania, le Organizzazioni di categoria, i rappresentanti del Caan di Volla.
Francesco Emilio Borrelli, presidente della commissione Agricoltura della Regione Campania, ha evidenziato: “Dall’audizione è emerso un elemento nuovo ovvero che l’origine della problematica sia stato probabilmente lo stramonio e non la mandragora. Trovo sia utile che l’Istituto zooprofilattico pubblichi sul proprio sito le immagini di questi vegetali velenosi al fine di divulgarne la conoscenza e tengo a precisare che non c’è alcun problema di filiera campana, né tantomeno alcuna responsabilità del Centro agro alimentare. È ingiustificata qualunque psicosi perché i prodotti vegetali campani sono sicuri e benefici per la salute e sarà nostra cura interagire con altre regioni per evitare che in futuro possano ripetersi questi allarmanti casi“.
L’enciclopedia Treccani spiega in maniera dettagliata cos’è lo stramonio: si tratta di un’erba annua della famiglia Solanacee, alta fino a 1,50 metri, con fusti ramificati, foglie lungamente picciolate, un po’ asimmetriche, ovate, irregolarmente lobate e dentate, con un odore sgradevole. I fiori, solitari nelle biforcazioni del fusto, presentano una corolla bianca, con lungo tubo ed emanano un delicato profumo durante la notte. Il frutto è una capsula ovata, lunga circa 4 centimetri, coperta di fitti aculei, che si apre in 4 valve e contiene diversi semi reniformi, neri, rugosi, lunghi 3 millimetri.
Originario dell’Asia occidentale, lo stramonio è diffuso in tutto l’emisfero boreale nei luoghi ruderali e in quelli coltivati ed è frequente anche in Italia.
Un documento redatto dall’Istituto Superiore di Sanità nel 2011 fa ulteriore chiarezza su cos’è lo stramonio e i suoi rischi. Lo stramonio, anche noto come erba del diavolo o erba delle streghe, cresce nelle regioni sub-tropicali e nei climi temperati. In Italia, questa specie si trova naturalizzata in tutte le regioni e cresce sporadica nei terreni incolti e ai margini delle strade.
Tutte le parti della Datura stramonium sono tossiche, anche se la percentuale maggiore degli alcaloidi si trova contenuta nei semi. In base alla quantità consumata, gli alcaloidi contenuti nella Datura stramonium possono avere effetti avversi sinergici che provocano perdita di memoria, stupor, amnesia, euforia, stimolazione del sistema nervoso centrale seguita da depressione e, raramente, anche da convulsioni, allucinazioni, coma.