Alle 19.30 di giovedì 8 settembre Buckingham Palace ha annunciato la morte della Regina Elisabetta.
Nata il 21 aprile 1926 quale membro di secondo grado della famiglia reale, Elizabeth Alexandra Mary Windsor divenne l’erede presuntiva al trono britannico dopo l’abdicazione di re Edoardo VIII, nel 1936, cui seguì l’incoronazione di suo padre, re Giorgio VI, nel 1937. Già erede presuntiva, divenne erede legittima solo quando apparve chiaro che Giorgio non avrebbe mai generato un figlio maschio. Molti anni dopo, Elisabetta avrebbe svolto un ruolo determinante nel modificare le regole di successione, garantendo che il primogenito di un monarca fosse riconosciuto come erede al trono indipendentemente dal sesso. La legislazione, estesa a tutto il Commonwealth, è entrata in vigore nel 2015 e rappresenta solo uno dei tanti interventi di Elisabetta II a favore della modernizzazione della Corona, in quanto istituzione, nel corso del suo regno di monarca più longevo della storia britannica.
L’adorato padre di Elisabetta, iniziò a prepararla per il suo futuro ruolo fin da quando lei aveva 13 anni, incaricando Henry Marten, un prevosto dell’Eton College, di impartirle lezioni sulla storia e il diritto britannico.
Nell’intimità domestica, Giorgio faceva sedere la figlia accanto a sé quando esaminava le famose “scatole rosse” della corrispondenza di Stato, scatole che un giorno sarebbero diventate di competenza di Elisabetta. «Ho la sensazione che, in definitiva, la formazione risolva una grande quantità di problemi», ha detto la Regina in vista del proprio 40° anno sul trono. «Si può fare molto se si è adeguatamente formati, e spero di esserlo stata» (Un altro tratto ereditato del padre? La sua passione per i corgis. Lui le regalò il suo primo Pembroke Welsh Corgi, Susan, per il suo 18° compleanno, e Sua Maestà ha avuto 14 generazioni di discendenti di Susan come animali domestici). Nel frattempo, la Regina Madre, allora regina Elisabetta, incoraggiava la figlia a leggere i classici della letteratura, da Jane Austen a Anthony Trollope, e a tenere un diario quotidiano, proprio come aveva fatto la sua bis-bisnonna, la regina Vittoria.
Fu sempre in questo periodo che la futura monarca cominciò a dedicarsi a due delle sue più grandi passioni: l’equitazione e l’allevamento. Secondo una tradizione che risale a Elisabetta I, la Regina allevava i propri cavalli, a Sandringham e in altre residenze. Le lezioni di equitazione iniziarono quando lei aveva tre anni, e già a 12 anni sapeva cavalcare all’amazzone in preparazione della cerimonia annuale del Trooping of the Colour, durante la quale era previsto che guidasse 1.400 soldati lungo la Horse Guards Parade di Londra. Molti anni dopo, nel 1981, mentre la parata procedeva lungo il Mall, un uomo armato sparò contro Sua Maestà una serie di colpi, che poi si rivelarono a salve, spaventando la sua cavalla birmana di 19 anni. Mentre le guardie si impadronivano dell’aspirante assassino, la Regina si chinò con discrezione, accarezzò l’impaurito animale e concluse la cerimonia senza commenti.
L’esperienza della Seconda Guerra Mondiale, iniziata pochi mesi dopo il suo tredicesimo compleanno e proseguita per gran parte della sua adolescenza, ha ulteriormente rafforzato il suo impegno al servizio della nazione. Le principesse rimasero a Windsor, dormendo in un rifugio antiaereo di fortuna situato sotto il quasi millenario castello – le cui fondamenta furono gettate da Guglielmo il Conquistatore –, edificio che rimase senza riscaldamento per tutta la durata del conflitto, con ogni stanza illuminata da una sola lampadina. La madre non volle saperne di mandare le ragazze in Canada per la loro sicurezza: «Le principesse non se ne andrebbero mai senza di me, e io non me ne andrei senza il Re, e il Re non se ne andrà mai», dichiarò categoricamente, mettendosi poi a fare pratica di tiro al bersaglio a Buckingham Palace con un revolver regalatole da Winston Churchill.
Se il padre ha trasmesso alla Regina la sua dedizione al dovere, la madre è all’origine del suo autocontrollo. Quando, nel 1982, Michael Fagan si introdusse a Buckingham Palace e si fece strada fino alla camera da letto della Regina, lei continuò a conversare con lui, parlando dei suoi problemi, fino all’arrivo della polizia. Quarant’anni prima, una persona affetta da disturbi mentali era riuscita a nascondersi dietro una tenda nella stanza della Regina Madre, al Castello di Windsor, e aveva afferrato quest’ultima per le caviglie; «Forse è il caso di parlarne», gli aveva detto lei senza mettersi a urlare, prima di riuscire a dare l’allarme. Analogamente, nel 1940, dopo che una mezza dozzina di bombe tedesche aveva colpito Buckingham Palace, la madre di Elisabetta aveva reagito commentando: «Sono quasi contenta che ci abbiano bombardato. Ora ho una visuale completa dell’East End».
Tornata nella relativa sicurezza di Windsor, la principessa Elisabetta tenne il suo primo discorso radiofonico nel 1940 nel corso del programma della BBC Children’s Hour, offrendo parole di conforto ai numerosi bambini sfollati da Londra e mandati a vivere con estranei nelle zone rurali mentre incombeva la minaccia dei blitz aerei. «Mia sorella Margaret Rose e io ci sentiamo molto vicini a voi, perché sappiamo per esperienza cosa significa essere lontani da coloro che amiamo di più». La futura regina prestò servizio anche negli scout, mettendo alla prova il suo talento di esploratrice all’interno e nei dintorni del Great Windsor Park insieme ai rifugiati dell’East End, e si unì all’Auxiliary Territorial Service, imparando a guidare un veicolo di tre tonnellate nel tentacolare traffico londinese e a cambiare pneumatici e candele. Sarebbe rimasta un’abile automobilista per il resto della vita, guidando senza problemi fuori pista nelle sue proprietà di Sandringham e Balmoral. Ogni Natale, a Windsor, per risollevare il morale delle truppe, Elisabetta e Margaret si esibivano in pantomime, nella Waterloo Chamber, davanti a un pubblico di 500 militari o più.
L’8 maggio 1945, giorno della proclamazione della vittoria in Europa, Elisabetta e Margaret erano così felici che si intrufolarono tra la folla radunata intorno a Buckingham Palace e rimasero fuori per quasi tutta la notte a festeggiare, ballando allegramente la conga per le strade in un raro momento di libertà (Il talento per la danza è un’altra eredità paterna: il Re aveva l’abitudine di concludere le feste a Palazzo guidando treni di conga attraverso le sale di Stato). Le due sorelle ripeterono l’esperienza la notte successiva e di nuovo il 15 agosto, quando il Giappone ammise la sconfitta. Riguardo all’uscita del 9 maggio, Elisabetta scrisse nel suo diario: «Di nuovo in mezzo alla folla. Embankment, Piccadilly, Pall Mall. Ho camminato per miglia. Ho visto i miei genitori sul balcone alle 00,30, ho mangiato, fatto festa, sono andata a letto alle 3 del mattino!». Nel caso della serata del 15 agosto, invece, annotò di aver «attraversato di corsa il Ritz» e «bevuto al Dorchester».
La guerra servì anche a consolidare l’attaccamento della Regina al tenente Philip Mountbatten, che lei aveva conosciuto a soli 13 anni durante una visita della famiglia reale alla Royal Naval Academy di Dartmouth. Mentre prestava servizio in Marina, Filippo scrisse spesso a Elisabetta, facendole visita al Castello di Windsor quando era in licenza. Fu in occasione di un memorabile Natale che la regina Mary, nonna di Elisabetta, si accorse del legame tra i due giovani dopo aver notato che Filippo guardava amorevolmente Elisabetta durante una rappresentazione di Aladdin. Nonostante fossero in molti a disapprovare, Filippo chiese a Elisabetta di sposarlo durante una visita a Balmoral nell’estate del 1946, e lei accettò subito, senza nemmeno consultare il Re. La coppia avrebbe annunciato formalmente le imminenti nozze il 9 luglio 1947, poco dopo il 21° compleanno di Elisabetta, che lei festeggiò in Sudafrica con la madre, il padre e la sorella.
In quest’ultima occasione, durante il suo primo tour internazionale, Elisabetta tenne un discorso trasmesso dalla BBC in tutto il mondo. «Se andremo avanti tutti insieme con una fede incrollabile, un grande coraggio e un cuore tranquillo, saremo in grado di fare di questo antico Commonwealth qualcosa di ancora più grande: più libero, più prospero, più felice e con una maggiore capacità di operare per il bene nel mondo», disse a centinaia di milioni di ascoltatori. «È molto semplice. Dichiaro davanti a tutti voi che la mia intera vita, lunga o breve che sia, sarà dedicata al vostro servizio». Durante il suo primo tour dopo l’incoronazione, nel suo discorso di Natale, Elisabetta riaffermò che il Commonwealth «non ha alcuna somiglianza con gli imperi del passato», ma è invece costruito su una base di «amicizia, lealtà e desiderio di libertà e pace», attraverso una «partnership paritaria di nazioni e razze».
Il 20 novembre 1947, la principessa Elisabetta sposò il neo-duca di Edimburgo nell’Abbazia di Westminster indossando un abito di Norman Hartnell color avorio incrostato di perle e cristalli, con il diadema della regina Maria a fissare il velo. Più di 100.000 persone affollarono le strade intorno a Buckingham Palace per vedere la coppia di sposi dopo la cerimonia. A causa delle restrizioni del dopoguerra, al ricevimento nuziale parteciparono solo 150 ospiti, che cenarono con “Filet de Sole Mountbatten” e “Bombe Glacée Princess Elizabeth”. Dal piazzale del Palazzo, dove furono avvolti da una pioggia petali di rosa, gli sposi partirono per la tenuta di Broadlands nell’Hampshire e poi per Balmoral, dove trascorsero la luna di miele, con l’amato corgie Susan al seguito. La scelta istintiva di Elisabetta riguardo al matrimonio con Filippo si sarebbe rivelata giusta: la loro unione sarebbe stata la più longeva della storia britannica.
A quasi un anno esatto dalle nozze, il 14 novembre 1948, Elisabetta diede alla luce un figlio maschio: il principe Charles Philip Arthur George. Seguiranno la principessa Anne Elizabeth Alice Louise, nel 1950, il principe Andrew Albert Christian Edward, nel 1960, e il principe Edward Antony Richard Louis, nel 1964. Poco dopo la nascita del primo figlio, Filippo riprese il servizio attivo in Marina con un incarico a Malta, ed Elisabetta, per periodi prestabiliti, lo raggiungeva a La Valletta, dove, vivendo come «moglie di un marinaio», poteva godere di una libertà mai conosciuta prima, compresa quella di maneggiare denaro contante. Il periodo di relativa pace della giovane famiglia fu però interrotto, all’inizio degli anni 50, dal declino della salute del Re, che Elisabetta dovette sostituire in una serie di impegni ufficiali.
Il 6 febbraio 1952, mentre si trovava in Kenya per la prima tappa di un tour di sei mesi nei Paesi del Commonwealth, Elisabetta ricevette un telegramma che le comunicava la morte del padre, avvenuta nella notte, rendendola regina in base all’Act of Settlement del 1701. In una remota capanna sospesa tra i rami di un gigantesco albero di fico, la venticinquenne principessa divenne il 40° fra i monarchi inglesi che si erano succeduti dal 1066. Rientrata immediatamente a Londra, Elisabetta si recò a St James Palace per tenere un discorso di fronte all’Accession Council. «A causa dell’improvvisa morte del mio caro padre, sono chiamata ad assumere i doveri e le responsabilità della sovranità», dichiarò alla folla riunita. «Oggi, il mio cuore è troppo colmo per potervi dire di più: mi impegnerò sempre, come ha fatto mio padre durante tutto il suo regno, per far progredire in felicità e prosperità i miei popoli sparsi in tutto il mondo… Prego Dio di aiutarmi a svolgere degnamente questo pesante compito che mi è stato affidato così presto nella vita».
Dopo un periodo di lutto nazionale, iniziarono i preparativi per l’incoronazione, fissata per il 2 giugno 1953, evento che Elisabetta acconsentì a trasmettere in televisione per la prima volta nella storia. Winston Churchill, allora primo ministro, dichiarò che la cerimonia avrebbe inaugurato un’altra era elisabettiana, offrendo al popolo britannico un incoraggiamento quanto mai necessario in un momento in cui erano in corso razionamenti e privazioni. La Regina trascorse mesi a prepararsi alla cerimonia. Una delle prove fisicamente più pesanti che avrebbe dovuto sostenere era quella che consisteva nell’indossare la corona di Sant’Edoardo, del peso di oltre due chili, senza contare gli altri 20 chili fra paramenti e scettri. Per prepararsi, Elisabetta portava la pesante corona mentre svolgeva le proprie abituali mansioni. Inoltre, attraversava la sala da ballo di Buckingham Palace con indosso lenzuola drappeggiate rivestite di pesi. Per l’incoronazione, un milione di persone affluì a Londra. La cerimonia si svolse nell’Abbazia di Westminster e durò tre ore. Dopo l’evento, mentre si rilassava nella Green Drawing Room di Buckingham Palace, la Regina espresse il suo giudizio entusiasta: «È stato meraviglioso. Niente è andato storto!».
Da quel momento in poi, per gran parte del suo regno, gli anni della Regina hanno seguito un programma predefinito, scandito da antiche tradizioni. Il Natale e l’inizio dell’anno venivano trascorsi nella tenuta di Sandringham, nel Norfolk, dove la sovrana ospitava battute di caccia e si occupava della scuderia reale. Tornava poi a Buckingham Palace in vista dell’apertura del Parlamento, l’11 maggio, trasferendosi al castello di Windsor nei fine settimana, in occasione del servizio religioso del Royal Maundy, della cerimonia di insediamento dei cavalieri del Nobilissimo Ordine della Giarrettiera, a giugno, e del Royal Ascot. In estate, si recava al Palazzo di Holyroodhouse, a Edimburgo, prima di andare al Castello di Balmoral, nell’Aberdeenshire, fino a ottobre, per poi tornare ancora una volta a Buckingham Palace in vista del Service of Remembrance.
Indipendentemente dal luogo in cui si trovava, Elisabetta ha sempre rispettato il suo rigoroso programma di appuntamenti e si è occupata delle sue scatole rosse sette giorni su sette, facendosele persino recapitare sullo yacht reale Britannia per mezzo di un elicottero. «Se ne perdessi una, non riuscirei più a raccapezzarmi», disse una volta a un amico.
Per quanto fosse coinvolta nella vita della Gran Bretagna, la Regina si sentiva altrettanto legata alle nazioni del Commonwealth, che nel corso del suo regno sarebbero passate da otto a 54, arrivando a comprendere circa un terzo della popolazione mondiale. (I suoi segretari privati hanno stimato che, nella sua posizione di capo del Commonwealth, metà delle sue giornate erano dedicate alle questioni dell’organizzazione degli Stati dell’ex impero britannico). A pochi mesi dall’incoronazione, la Regina fu il primo monarca britannico a circumnavigare il globo per visitare le nazioni del Commonwealth. «La trasformazione della Corona da emblema di dominio a simbolo di associazione libera e volontaria… non ha precedenti», rifletté durante il suo Giubileo d’Argento. Nel corso dei suoi 70 anni sul trono, è diventata il capo di Stato che ha viaggiato di più.
A parte il Commonwealth, nelle questioni di politica globale la Regina si è sempre mantenuta neutrale, pur svolgendo un importante ruolo diplomatico per conto del Regno Unito, in particolare per quanto riguarda le relazioni speciali della Gran Bretagna con l’America. Quando la crisi di Suez inasprì i sentimenti del presidente Eisenhower nei confronti del Regno Unito, Downing Street inviò la Regina e il duca di Edimburgo a Washington. La coppia reale incontrò i giocatori di football americano al Byrd Stadium di Baltimora e chiese di visitare un supermercato, un fenomeno che non era ancora arrivato nel Regno Unito. «È bello che possiate portare con voi i vostri bambini», osservò Sua Maestà mentre esaminava un carrello, prima di ringraziare il direttore generale per il “tour”. Alcuni decenni dopo, la Regina avrebbe stretto un legame altrettanto forte con i Reagan grazie al loro comune amore per i cavalli, portando il Presidente a fare un giro nel Windsor Great Park e facendogli visita nel suo ranch in California, dove fu accolta da un acquazzone torrenziale.
Sebbene, durante tutto il suo regno, sia rimasta un baluardo della tradizione, la Regina ha anche supervisionato notevoli cambiamenti all’interno della monarchia, dall’apertura al pubblico di Buckingham Palace all’accesso alle telecamere nella sfera reale per documentari come Royal Family (1969) ed Elizabeth R (1992). La sua vocazione è forse meglio descritta nel suo primo discorso natalizio trasmesso in televisione, nel 1957, e scritto privatamente con l’aiuto di Filippo. «Venticinque anni fa, mio nonno trasmise il primo di questi messaggi natalizi», esordì. «Oggi è un altro evento epocale, perché la televisione ha permesso a molti di voi di vedermi nelle vostre case il giorno di Natale. È inevitabile che io sembri una figura piuttosto distante. Un successore dei re e delle regine della storia, qualcuno il cui volto può essere familiare perché visto sui giornali e nei film, ma che non tocca mai veramente le vostre vite personali. Ma ora, almeno per qualche minuto, vi do il benvenuto nella pace della mia casa».
«Il fatto che oggi alcuni di voi possano vedermi è solo un altro esempio della velocità con cui le cose intorno a noi stanno cambiando», proseguì. «A causa di questi cambiamenti, non mi sorprende che molte persone si sentano smarrite e non riescano a decidere cosa tenere e cosa scartare. Come approfittare della nuova vita senza perdere il meglio di quella vecchia… Oggi abbiamo bisogno di un tipo speciale di coraggio, non quello necessario in battaglia, ma quello che ci fa difendere tutto ciò che sappiamo essere giusto, tutto ciò che è vero e onesto. Abbiamo bisogno di quel tipo di coraggio che può resistere alla sottile corruzione dei cinici, in modo da poter mostrare al mondo che non abbiamo paura del futuro… Non posso condurvi in battaglia, non vi do leggi né amministro la giustizia, ma posso fare qualcos’altro, posso dare il mio cuore e la mia devozione a voi, a queste antiche isole e a tutti i popoli della nostra fratellanza di nazioni»