Il Don Raffaè, della nota canzone di Fabrizio De Andrè, ricalca nuovamente il palcoscenico delle cronache attuali. “Io, sepolto vivo in cella. Se esco e parlo, crolla il Parlamento”. A riferire queste parole, è l’ex potentissimo boss Raffaele Cutolo, detenuto a Parma, in regime di 41 bis.
Dopo anni di religioso silenzio, il professore vesuviano decide di denudarsi dell’alone di mistero che fino ad oggi lo aveva avvolto. “Se parlo ballano le scrivanie di mezzo Parlamento” asserisce , sostenendo che chi è al comando oggi, è stato messo lì da chi veniva a chiedergli aiuto.
Queste pungenti rivelazioni ci giungono grazie alla moglie e al legale, che hanno intermediato per lui con Paolo Berizzi di Repubblica. L’ex boss inveisce contro i politici e ricorda così la prima vera trattativa Stato-mafia: “Mi hanno usato e gonfiato il petto da Cirillo a Moro che, a differenza del primo, hanno voluto morto e infatti mi ordinano di non intervenire.Poi mi hanno tumulato vivo. Sanno che se parlo cade lo Stato” .
Sulla politica italiana pende una nuova spada di Damocle: dover rispondere ancora una volta alle accuse riguardanti il legame che intercorre tra lo Stato e il crimine organizzato.
Raffaele Cutolo, ci tiene inoltre a precisare, di non rappresentare più un pericolo e di non appartenere a nessun clan, da quando si è sposato durante la sua detenzione nel carcere dell’Asinara. Ma nonostante ciò, non viene creduto, a detta sua, perchè non è voluto diventare un jukebox a gettone: ” il pentito va a gettone.Parla e guadagna.Un ulteriore oltraggio alla memoria delle vittime”.
Riguardo la sua reclusione, l’ex boss napoletano, dichiara di essere ” come un defunto in vita” e di saltare anche l’ora d’aria per evitare “umilianti controlli”. ” Allo Stato servo così”, aggiunge, “il mio vero pentimento l’ho confessato a Dio, non davanti agli uomini”.
Sguardo dimesso, parole di rassegnazione quelle di Raffale Cutolo, di chi ormai ha perso ogni barlume di speranza. Ma chi era veramente “o ‘ prufessor” di Ottaviano??
C’era una volta, Raffaele Cutolo, detto don Raffaele, che venne soprannominato ben presto “il professore” per la sua aria da uomo dotto ed intellettuale. La sua carriera inizia ben presto, quando a soli 22 anni uccide un uomo, perchè aveva osato avanzare complimenti nei confronti della sorella Rosetta.Viene condannato in primo grado all’ergastolo, ma successivamente in appello, la pena viene ridotta a 24 anni. La sua infanzia venne caratterizzata dal mondo dei mercati ortofrutticoli, dove si sviluppavano i floridi affari della camorra rurale. E’ proprio in questo ambiente, che si forgia la tempra del boss.
Sposa le cause dei poveri contadini sfruttati dai latifondisti e prende a cuore le problematiche dei giovani disoccupati, diventando così il prototipo del nuovo “Robin Hood” di Ottaviano. L’evoluzione del suo emblematico personaggio avviene però all’interno delle carceri, quando inizia a profilarsi il disegno del progetto che ha in mente: capeggiare tutta la camorra campana. Non si accontenta più delle semplici estorsioni, dei piccoli furti o del contrabbando delle sigarette, vuole estendere il dominio sul traffico della droga e sugli appalti pubblici.
Raffaele Cutolo diventa in poco tempo il creatore di un mostro le cui entità crescono a dismisura: la Nuova Camorra Organizzata. Viene fondato un nuovo codice di valori: non si minaccia, non si incute terrore, si preme direttamente il grilletto contro chi intralcia il suo operato. Il boss costituisce un vero e proprio impero, di cui detiene l’esclusiva reggenza in concomitanza con la sorella Rosetta, fedele cassiera e collaboratrice dell’organizzazione. La graduale espansione del potere cutoliano però attira gli odi e le invidie delle altre famiglie, che intraprendono una vera e proprio guerra civile che porterà ad un grande spargimento di sangue. La dura lotta con i clan avversari e l’ordine di trasferimento nel carcare di massimo sicurezza dell’Asinara, emanato dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, rappresentano le cause predominanti del tramonto del regno di Raffaele Cutolo.
La storia di Don Raffaè non si conclude con un lieto fine, come le tante favole dei Fratelli Grimm, ma con 13 ergastoli e la relegazione alla solitudine eterna.