11 aprile 1975. All’ora di pranzo, alcuni lavoratori non hanno iniziato il turno di pausa. Qualcuno fatica nella fabbrica Flobert da un po’ di anni; altri, da appena quattro giorni. A Sant’Anastasia si producono proiettili per pistole-giocattolo lanciarazzi. In contrada Romani, alle 13.24, una scintilla provoca il putiferio. La Flobert esplode e muoiono 12 giovani operai.
In quella apocalisse, i soccorsi cercano i sopravvissuti: l’unico è Ciro Liguoro, a cui il commediografo/attore premio Nobel Dario Fo dedica un disegno. Il 13 aprile, nel piazzale antistante la Casa del Pellegrino, si celebrano quindi i funerali e, poco dopo, nel cimitero locale viene realizzato il monumento alla memoria. La storia della Flobert – o meglio, ‘A Flobert – diventa un canto politico di lotta e denuncia nelle strofe e nei concerti del Gruppo Operazio ‘E Zézi (con il commento giornalistico di Luigi Necco nell’intro), e ancora oggi che l’Italia annaspa e muore ogni giorno poco per volta perché migliaia di persone continuano a cadere nei luoghi di lavoro, Sant’Anastasia si appresta a ricordare il maledetto anniversario. Mezzo secolo dalla strage di fabbrica. Mezzo secolo di rivendicazioni per il diritto alla sicurezza/salute in qualsiasi contesto professionale. Dalla volontà dello stesso Ciro Liguoro, venerdì 11 aprile 2025, nel medesimo giorno di calendario, nasce l’idea di portare sul palco del cinema Metropolitan di Sant’Anastasia lo spettacolo “Vite infrante” di Fioravante Rea, che firma la regia in compagnia di Agostino Chiummariello, già protagonista della serie Rai “Mare fuori” nel ruolo di un agente. Le musiche originali dello spettacolo sono del compositore/cantante Carlo Faiello. Alla mattinata, dalle 10, parteciperanno 300 studentesse-studenti di Sant’Anastasia, Marigliano e Somma Vesuviana. Di sera, alle 2o, coloro che vorranno ricordare.
Qui a seguire, un intervento accorato e autografo di Ciro Liguoro, unico sopravvissuto di quella atroce giornata di lavoro in fabbrica. La scelta cosciente e la volontà di inserirla nella nota destinata alla stampa nasce unicamente dal rispetto e dalla solidarietà civica per l’accaduto di cinquant’anni fa.
Per non dimenticare
Nella memoria umana, la perdita di ricordi e di informazioni si trasforma in oblio. Esso infatti non è altro che la dimenticanza, come fatto duraturo, di ogni ricordo che a volte, involontariamente, rimuoviamo dalla nostra memoria. Di tale argomento la letteratura classica, dal Petrarca al Foscolo, al Carducci, ne è piena. Il Lete, il fiume dell’oblio, uno dei fiumi del mondo dei morti, le cui acque cancellavano ogni ricordo in chi vi si immergeva, ne è un esempio. A quanti di noi è accaduto, durante una visita al cimitero, di osservare foto sulle tombe di persone scomparse da anni e che non ricordavamo più? Eppure queste persone in un tempo non lontano hanno fatto parte della nostra vita, seppur in modo indiretto. Hanno frequentato i nostri stessi luoghi, facevano parte integrante della nostra comunità.
E nell’oblio non possiamo far cadere le 12 vittime della Flobert. Giovani che hanno dato la loro vita per un lavoro pericoloso e senza alcuna prevenzione.
Ciro Liguoro
Venerdì 11 aprile, il cinema Metropolitan di Sant’Anastasia ospiterà uno spettacolo mattutino per le scolaresche e repliche serali per gli adulti. Ingresso con invito da ritirare nella sede ANPI di Sant’Anastasia e nelle associazioni del territorio che hanno aderito all’iniziativa.
Il progetto “Vite infrante” è uno spettacolo teatrale con musiche dal vivo.
Il copione è tratto da una storia vera scritta da Fioravante Rea, le musiche sono di Carlo Faiello e la regia di Agostino Chiummariello e dello stesso Rea. Venerdì 11 aprile del millenovecentosettantacinque, una fabbrica di giocattoli e di munizioni per uso ludico, la Flobert, esplode a Sant’Anastasia. Il quel paese vesuviano della provincia di Napoli dodici operai periscono. Uno dei presenti sul luogo dell’esplosione scampa al pericolo e non muore. Il superstite, Ciro (protagonistasia della vicenda reale e del nostro spettacolo), diventerà il testimone oculare di quella tragedia e ogni anno, come un fedele custode di quella drammatica vicenda, si dà il compito politico di ricordare quell’esperienza tragica di morte sul lavoro.
Credo che sia opportuno fare chiarezza a riguardo ed è preferibile dirlo con le parole del magistrato di Cassazione, Bruno Giordano, già direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Per anni si è occupato, e continua a farlo, proprio di sicurezza sul lavoro.
“La colpa non è di chi muore. La colpa è del datore di lavoro che doveva controllare, fornire gli strumenti di prevenzione, istruire e addestrare. Hanno diritto a non morire anche i lavoratori un po’ superficiali o disattenti. In tutti i casi è scientificamente impossibile che negli omicidi colposi plurimi, dove ci sono più morti sul lavoro, vi sia una distrazione collettiva. La distrazione, la disattenzione è strettamente individuale, non esiste un errore di gruppo. Quando accade una strage, significa che c’è stata una disorganizzazione o non conoscenza dei rischi e di come proteggersi.”
Una volta chiarita questa visione di base sull’argomento, F. Rea ha creduto necessario scrivere un testo teatrale per poi metterlo in scena, raccontando la storia personale, dall’infanzia fino al giorno della strage, del nostro “sopravvissuto”.
Narra, con un linguaggio napoletano e italiano, il vissuto di Ciro in quel piccolo paese di provincia degli anni Settanta e nello stesso tempo racconta al pubblico la storia politica, economica e ricreativa di quegli anni in Italia tra il boom e la lotta per i diritti della classe operaia. L’intento del progetto è raccontare una strage sul lavoro in anni speciali (1975), dove la coscienza del popolo italiano era ancora vigile, e lo dimostrano le foto e gli articoli di quegli anni: trentamila persone furono presenti ai funerali dei dodici operai uccisi.
L’obiettivo del testo teatrale è quello di ricordare la strage per evidenziare che a distanza di anni, fino a oggi, poco è cambiato e che come in un articolo su una rivista on line, Collettiva, Roberta Lisidice: “…quindi l’idea che il lavoratore sia così superficiale da essere addirittura suicida è ovviamente una scusa di comodo, per alleggerire la posizione di chi invece doveva garantire la sua incolumità e tutelarlo.”