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Terra dei fuochi: da Giugliano ad Ercolano, storie di abbandono e veleno

Redazione Napolitan di Redazione Napolitan
19 Gennaio, 2015
in In evidenza, News
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Terra dei fuochi: da Giugliano ad Ercolano, storie di abbandono e veleno
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discaricaLa terra dei fuochi: una lingua di nascosto veleno che continua a smascherare la sua espansa distensione.

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Dal casertano, alla periferia di Napoli nord fino all’hinterland vesuviano. E Dio solo sa dove e ancora, quanti e quali terreni, contamina con le sue bavose scorie, quella lingua di turpe veleno.

Sabato sceso, è stata divorata dalle fiamme la discarica Novambiente, ubicata nella zona a confine tra Giugliano e Parete, sotto sequestro da alcuni anni e di proprietà del pentito Gaetano Vassallo, imprenditore legato al clan dei Casalesi. Alcuni testimoni affermano che il rogo sarebbe scoppiato oltre il perimetro esterno, per poi espandersi alle sterpaglie che coprono la discarica. Il fumo è stato segnalato da diversi chilometri di distanza. Repentino l’intervento degli inquirenti, ai quali spetta l’infausto compito di stabilire se l’incendio sia di natura dolosa o naturale. La zona della discarica rientra nell’area vasta dove ha sede anche la Resit, già nota alle cronache per le ingenti quantità di rifiuti speciali che ha fagocitato negli anni.

Di contro, nella fetta di terra ubicata nell’antimero opposto e che costeggia il Vesuvio si rileva l’ennesima e sconcertante scoperta: avvenuta nella cava Montone, nel comune di Ercolano, nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio, sotto sequestro da settembre, quando sono stati rinvenuti i primi fusti sospetti, e tuttora con giusta ragione oggetto di indagini e di accertamenti da parte del Nucleo Operativo Ecologico, che agisce su disposizione della Procura di Napoli.

Proprio i militari del Noe, nel corso del sopralluogo del 9 gennaio della commissione regionale per le Bonifiche, hanno rivelato i primi risultati delle analisi effettuate finora, in particolare, nell’area di proprietà del fallimento Sacco. Nel ventre dei suddetti terreni, di proprietà anche di Giovanni Marino, presidente del consorzio del pomodorino del piennolo, sono stati ritrovati, per ora, oltre a fusti bituminosi di provenienza industriale, scarti di una grande acciaieria del nord, materiali di provenienza edile, stracci e stoffe, rottami ferrosi, amianto.

La storia che narra le angherie e i soprusi subiti dai terreni di cava Montone, affonda le sue radici in un passato assai remoto. Le prime segnalazioni, sia pure sporadiche, risalgono ad oltre 25 anni fa. All’epoca, però, non furono condotti gli accertamenti e le indagini che avrebbero potuto smascherare il traffico di rifiuti che aveva come capolinea appunto il terreno dei Sacco e dei Marino.

Solo alcuni mesi fa è giunta la svolta decisiva: un sacerdote racconta di aver ricevuto notizia, in via confidenziale, che a cava Montone sono stati interrati rifiuti pericolosi e nocivi. Dalla sua testimonianza, partono le indagini. A settembre dello scorso anno scatta il sequestro. Resta ora da capire fino a quando siano proseguiti gli sversamenti e, soprattutto, vanno individuate risorse e modalità per recuperare il territorio o, quanto meno, depotenziare gli effetti nocivi dei veleni interrati.

A poche centinaia di metri da Cava Montone, giace lo scempio di via Filaro: una muta e monca sequenza di rifiuti.

Igienici, copertoni, stracci e materiali di varia natura. E anche in via Filaro c’è chi sverna perfino amianto.

Ed, infine, la discarica Amendola – Formisano. Un’area satura che ha ingurgitato rifiuti per oltre 40 anni e che costeggia le case della frazione San Vito, in gran parte abusive. Qui furono portate migliaia di ecoballe, nel 2002, solo recentemente trasferite all’inceneritore di Acerra. E nel 2008 è stato realizzato un sito di stoccaggio provvisorio che avrebbe dovuto dimorare ì per sei mesi, invece sono trascorsi sei anni. I rifiuti stoccati sono malamente coperti da teloni visibilmente danneggiati e che dovrebbero essere sostituiti. Più ancora di quel che si vede in superficie, però, preoccupa quello che non si vede e che giace sotto il livello del terreno. Cosa sia stato sepolto nel terreno Amendola Formisano dal 1965 al 1994, quando la discarica fu chiusa ufficialmente, nessuno può stabilirlo. Se il fondo dell’invaso sia adeguatamente impermeabilizzato, è altrettanto misterioso.

Servirebbero indagini approfondite, risorse, impegni istituzionali. Dei quali, tuttora, non si rileva alcuna traccia.

 

Tags: cava montoneclan dei casalesidiscarica ammendola-formisanoErcolanogaetano vassallogiuglianonapoli nordnovambientepareterifiuti tossiciroghiterra dei fuochivia filaro
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