Il 26 ottobre 1959 resta una delle date più oscure nella storia della mafia siciliana, con la cosiddetta “strage di Godrano” che causò la morte dei fratelli Antonino Pecoraro, 10 anni, e Vincenzo Pecoraro, 19 anni, vittime innocenti di una faida che dilaniava il piccolo centro montano siciliano.
Alla base dell’eccidio c’era una faida storica tra le famiglie Barbaccia e Lorello, che da decenni si contendevano il predominio su terreni e pascoli nel territorio di Godrano, con al centro l’aspra disputa sui boschi della Ficuzza.
Nel tardo pomeriggio, verso le 18:00, due uomini — Francesco e Salvatore Maggio — si nascosero travestiti da carabinieri nella casa disabitata di un vicino, Agostino Barbaccia, vicino della famiglia Pecoraro. Da lì, fecero irruzione con armi da fuoco (fucili e lupara) nell’abitazione di Francesco Pecoraro, capofamiglia, dove si trovavano sua moglie Francesca, il bambino Antonino e l’amico di famiglia Demetrio Pecorino.
Le raffiche colpirono Francesco Pecoraro al torace — ne uscì gravemente ferito, tanto che gli fu amputata una mano in ospedale — e colpirono Antonino al torace; questi morì pochi giorni dopo in ospedale. Il compaesano Demetrio Pecorino rimase ferito alle gambe. Nel tentativo di fuga, i killer incontrarono Vincenzo Pecoraro, che stava tornando dai campi: convinti che potesse identificarli, gli spararono, uccidendolo sul colpo.
La moglie Francesca, inizialmente silenziosa davanti alle indagini, in seguito avrebbe fatto i nomi dei sospetti: Salvatore e Francesco Maggio, Francesco Miceli e Paolo Barbaccia.
I giudici di Palermo condannarono all’ergastolo Francesco Miceli, Salvatore Maggio e Paolo Barbaccia per l’omicidio dei giovani e per il tentato omicidio del padre e del compaesano Pecorino. Tuttavia, alcune imputazioni furono prosciolte per insufficienza di prove.
La strage accentuò l’ostilità tra le famiglie in lotta e restò un monito per la comunità locale, che da allora visse nella tensione di una vendetta mai sopita.
I nomi di Antonino e Vincenzo Pecoraro sono oggi ricordati come vittime innocenti di mafia, simboli del fatto che la violenza mafiosa non risparmia nemmeno i più giovani, colpendo chi non appartiene attivamente ai meccanismi criminali.
Il loro sacrificio è inserito nelle iniziative promosse da associazioni come Libera e nei registri della memoria delle vittime di mafia in Italia.
A Godrano, la strage costituì una delle pagine più nere in una sequela di omicidi — oltre 60, in meno di mezzo secolo — legati alla guerra tra clan per il controllo dei territori locali.
La “strage di Godrano” racconta la potenza distruttiva della mafia, che sceglie vittime innocenti per colpire membri rivali, e ci ricorda che ogni vita spezzata in nome del potere è una vittima anche della nostra memoria.









