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Tra bombe, agguati e assoluzioni: la guerra silenziosa che divora Ponticelli

Luciana Esposito di Luciana Esposito
26 Maggio, 2025
in Cronaca, In evidenza
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Tra bombe, agguati e assoluzioni: la guerra silenziosa che divora Ponticelli
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Due bombe, un morto e un ferito maturati per effetto di due agguati distinti e di chiara matrice camorristica, messi a segno all’indomani di un’assoluzione eccellente: quella del boss Marco De Micco, fondatore dell’omonimo clan e degli altri quattro imputati nel processo volto a far luce sull’omicidio di Carmine D’Onofrio, il 23enne figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa, freddato nei pressi della sua abitazione nell’autunno del 2021.

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Questa la sintesi dei fatti avvenuti nell’ultimo mese a Ponticelli, quartiere della periferia orientale di Napoli, non a caso designato zona rossa dalla Prefettura di Napoli, proprio nelle stesse ore in cui si diffondeva la notizia dell’assoluzione del boss fondatore del clan dei cosiddetti “Bodo”. Segnali evidenti di una faida di camorra che scalpita per rientrare nel vivo e sintomatici di un’escalation di violenza che concorre ad accrescere la tensione non solo nei rioni adibiti ad arsenali dei clan, ma anche tra le strade principali del quartiere.

La prima bomba è esplosa nella notte tra il 25 e il 26 aprile nei pressi dell’isolato 15 del rione De Gasperi, uno dei tanti complessi di edilizia popolare divenuti, negli anni, arsenali dei clan camorristici. Un episodio da inserire nell’ambito della perenne “micro-faida” in corso nell’ex fortino dei Sarno tra i reduci dei “pazzignani” e i gestori delle piazze di droga dell’isolato 3 e riconducibile proprio alla gestione del business che rappresenta la principale fonte di guadagno per gli esponenti della criminalità radicati nel rione.

La seconda, appena una settimana dopo, poco dopo la mezzanotte del 2 maggio, ha squarciato il silenzio di via Luigi Franciosa. Anche in questo caso il raid sarebbe da ricondurre alla “micro-faida” in corso nella zona per lo stesso motivo tra i reduci del clan Casella – allo stato attuale capeggiato dalle donne, per causa di forza maggiore, in seguito all’arresto dei capofamiglia – e un gruppo emergente, prettamente dedito ai furti di veicoli e ai “cavalli di ritorno” che starebbe rapidamente consolidando la propria egemonia nella zona. Proprio questi ultimi piazzando un ordigno sotto l’auto di Luigi Aulisio detto Alì avrebbe lanciato un monito perentorio alla “donna di casa Casella” in ordine alla gestione delle piazze di droga sulle quali, probabilmente, rivendicano una tangente. Di tutta risposta, le donne del clan, subito dopo il raid, armate di mazze ed altri oggetti volti ad offendere avrebbero immediatamente replicato all’affronto aggredendo il gruppo rivale, innescando una violenta rissa.

Due episodi distinti e apparentemente non collegati tra loro, due segnali violenti che fanno crescere la paura tra i residenti. Scene di una guerriglia urbana che si combatte con ordigni, ma anche con metodi rudimentali. Due episodi a distanza ravvicinata che sottolineano anche il dilagante clima di anarchia che serpeggia nei rioni e che stride con il capillare controllo del territorio rivendicato senza mezzi termini dai De Micco.

A rendere il quadro ancora più complesso, c’è la recente assoluzione del boss Marco De Micco e di altri quattro imputati dall’accusa dell’omicidio di Carmine D’Onofrio. Il delitto, avvenuto nell’ottobre 2021, era stato letto come un sanguinoso atto di vendetta per l’esplosione di un ordigno nel cortile della famiglia De Micco che secondo quanto emerso dalle indagini sarebbe stato compiuto proprio da D’Onofrio per contestare l’egemonia dei rivali. La sentenza, arrivata tra lo stupore e le reazioni contrastanti nel quartiere, ha però sbugiardato questa tesi alimentando nuove tensioni in un clima già incandescente.

Il timore dei cittadini ha trovato ulteriore riscontro nella realtà la sera dello scorso 15 maggio quando Antonio De Cristofaro, 26 anni, è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco in via Flauto Magico, nel rione Conocal, fortino del clan D’Amico. “Bombolone”, questo il soprannome del 26enne, fu arrestato a febbraio del 2023 insieme a Manuel Aprea, rampollo dell’omonimo clan operante a Barra. I sicari gli avrebbero teso una trappola, freddandolo nei pressi della sua abitazione.

Pochi giorni dopo, il 19 maggio, Salvatore Fioretto, 24 anni, è stato ferito da un colpo d’arma da fuoco alla gamba in viale delle Metamorfosi, nei pressi del Lotto O, fortino del clan De Luca Bossa. Il giovane sarebbe stato avvicinato da due uomini in sella a una moto, con il volto coperto, che hanno aperto il fuoco per poi dileguarsi. Fioretto è stato trasportato all’ospedale Villa Betania, dove è stato medicato.

Poi il time out, imposto dalla festa scudetto, la conquista del quarto tricolore azzurro che, almeno in questa circostanza, non ha visto le logiche della faida in corso irrompere sulla scena per macchiare di sangue le celebrazioni dei tifosi.

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