Il blitz che un anno fa ha tradotto in carcere affiliati e figure apicali del cartello camorristico costituito dai vecchi clan dell’ala orientale di Napoli, ha inflitto un durissimo colpo a diverse organizzazioni radicate nel quartiere Ponticelli, Minichini-De Luca Bossa e Casella, in primis.
Gli eredi del boss Salvatore Casella, temibile luogotenente dei Sarno, che hanno erto a quartier generale del clan gli edifici di edilizia popolare situati in via Luigi Franciosa, nella zona denominata in gergo “aret’ a barra”, sono ormai in carcere da un anno, al pari di altre figure si spicco dell’organizzazione arrestate in precedenza, tra i quali il ras Giuseppe Righetto e Nicola Aulisio, rispettivamente fratellastro e nipote dei Casella.
Come spesso accade, in seguito all’arresto delle figure maschili più rappresentative dell’organizzazione, le redini del clan sono finite nelle mani delle donne della famiglia Casella. Proprio come avvenne nel 2018, in seguito al blitz che portò all’arresto di 14 persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso e associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti nonché di spaccio di stupefacenti, possesso di documenti di identità falsi e lesioni aggravate, con l’aggravante dell’agevolazione mafiosa. Un anno dopo furono però scarcerati, complice l’inutilizzabilità delle intercettazioni che inchiodavano gli imputati alle loro responsabilità.
Un colpo di fortuna del quale i Casella hanno beneficiato per un periodo di tempo breve, principalmente speso per convergere nel clan composto dalle vecchie famiglie d’onore della zona e vivere da protagonisti le fasi salienti della faida che nel 2020 li vide osteggiare i De Martino, inizialmente confluiti nell’alleanza. In quel frangente, il cognato dei Casella, Luigi Aulisio, rimase ferito in un agguato, mentre suo figlio Nicola e Giuseppe Righetto sono accusati di aver messo la firma su diversi agguati indirizzati ai De Martino. Cessate le ostilità a suon di arresti, per i Casella la fase discendente è stata introdotta da un evento ben preciso: il ritorno a Ponticelli del boss Marco De Micco, fondatore dell’omonimo clan con il quale la cosca di via Franciosa è tutt’altro che in buoni rapporti. Un evento in seguito al quale il clan dei cosiddetti “Bodo” ha rapidamente riconquistato il controllo del territorio, introducendo un periodo di tangibile difficoltà per i reduci dell’alleanza, definitivamente messi all’angolo dai recenti blitz che hanno inflitto un durissimo colpo all’organizzazione.
Dopo gli arresti che hanno fatto scattare le manette per i fratelli Casella e gli altri elementi di spicco dell’organizzazione, a via Franciosa non è rimasto altro che il business della droga gestito da Luigi Minelli, consuocero del ras Ciro Naturale, subentrato a Marco De Micco nella reggenza del clan dopo il suo arresto. Il recente arresto di Minelli può aver legittimato le velleità dei Casella che di recente si starebbero riorganizzando.
Stando al racconto degli abitanti di via Franciosa, i Casella starebbero nuovamente puntando su un assetto camorristico prettamente al femminile, complice il ritorno a Ponticelli di una parente residente all’estero che insieme alle altre donne della famiglia si starebbe adoperando per riorganizzare il clan, puntando tutto sul business della droga. Motivo per il quale avrebbero assoldato tutti i giovani indigenti della zona, molti dei quali non ancora maggiorenni. Sarebbero loro a gestire le piazze di droga che il clan ha reimpostato nella sua roccaforte, per espresso volere delle “mamme-camorra”, non solo tra le strade di via Franciosa, ma anche nel Parco De Simone dove la presenza dell’attività di spaccio è sottolineata dal tangibile stato di degrado in cui versa una delle poche aree verdi del quartiere.
In questo clima è andato in scena l’ultimo sussulto di camorra che la notte scorsa ha portato al ferimento di un 18enne, indicato tra i giovani confluiti nell’esercito radunato dalle donne del clan Casella per riattivare in maniera significativa gli affari illeciti. Un episodio che confermerebbe la presenza di un modello camorristico che molto spesso ha preso forma, all’indomani dell’arresto degli uomini del clan. Donne, madri, che indottrinano gruppi di giovani ragazzi, tra i quali si annovera anche la presenza dei loro figli, sprezzanti dei pericoli ai quali li espongono, pur di alimentare le logiche malavitose.