I tasselli che il clan De Micco ha consegnato in maniera plateale e vistosa agli abitanti di Ponticelli compongono un disegno inequivocabile, oltre che terrificante: i cosiddetti “bodo” mirano a cancellare ogni traccia delle famiglie dei “pentiti” che si sono macchiati dell’onta della collaborazione dal quartiere.
Le minacce indirizzate ai parenti di Luisa De Stefano, l’ultima collaboratrice di giustizia – almeno per ora – in ordine cronologico nell’ambito dello scenario criminale di Ponticelli, non sarebbero un caso isolato. Nei giorni scorsi, si sarebbero verificati episodi analoghi indirizzati anche ad altri soggetti, legati ad altri ex camorristi che hanno deciso di collaborare con la giustizia di recente. Non a caso, si tratterebbe di una politica inscenata in seguito all’ultimo blitz che ha colpito proprio i De Micco-De Martino, l’organizzazione attualmente egemone a Ponticelli.
Boss e affiliati già detenuti in carcere sono stati raggiunti da un’altra misura che ha concorso ad aggravare la loro posizione, con l’aggravante che altri gregari sono finiti dietro le sbarre, ma è evidente che il clan non teme solo gli arresti. La vera bestia nera è rappresentata dalle possibili conseguenze che un blitz può rivelarsi in grado di sortire: le condanne che rischiano di compromettere la posizione di affiliati già provati da diversi mesi di carcere e che pertanto potrebbero cedere alla tentazione del pentimento. Un’insidia che va scongiurata a tutti i costi, anche se soprattutto tra le crepe che minano i rapporti tra i De Micco e i De Martino si cela proprio questo concreto timore: il recente blitz ha concorso ad aggravare la posizione del boss Francesco De Martino, detenuto dallo scorso 1° luglio insieme a sua moglie, Carmela Ricci, ma anche quella di Salvatore De Martino, il più piccolo e fragile degli uomini del clan dei cosiddetti “XX”. Con il primogenito Antonio già condannato all’ergastolo e la potenziale accusa di tentato omicidio del ras Ciro Naturale che grava sul capo del secondogenito Giuseppe, De Martino senior e figli potrebbero optare per il definitivo sgambetto da tendere ai rivali gettandosi tra le braccia dello Stato.
E quest’ultimo è solo uno dei potenziali scenari temuti dai De Micco: un’ipotesi che il clan mira a scongiurare inscenando la strategia del terrore, praticando “l’azione dimostrativa nell’azione dimostrativa”. Minacciando a viso aperto i parenti di Luisa De Stefano, intimandogli di lasciare Ponticelli, i “bodo” stanno lanciando un monito concreto anche agli affiliati al loro stesso clan attualmente detenuti e che potrebbero farsi accarezzare dall’idea di collaborare. L’invito a “pensare ai familiari” che ancora vivono nel quartiere, seppure estranei alle dinamiche camorristiche, in questo frangente, viene utilizzato come il più efficace dei fattori deterrenti.
A fungere da sfondo a uno degli scenari più macabri e torbidi di sempre che si sta delineando tra le strade di Ponticelli, anche l’odio atavico che da sempre accompagna le gesta delle due compagini perennemente in conflitto per il controllo del territorio. Seppure, un tempo lontano, quando i Sarno erano i boss incontrastati e indiscussi di mezza Napoli, i fratelli De Micco andavano a braccetto con i rampolli delle famiglie d’onore che costituivano lo zoccolo duro del clan. Poi il terremoto scaturito dal pentimento delle figure apicali del clan che non avrebbe però concorso a minare l’amicizia tra i figli dei Sarno e i fratelli De Micco. Un fatto che di per sé spiegherebbe il rancore e l’astio che gli attuali leader di Ponticelli hanno sempre indirizzato ai rivali dei Sarno, come accadde all’indomani del raid indirizzato al boss Marco De Micco, quando i De Luca Bossa lanciarono una bomba nel cortile di casa del boss che esplose nell’esatto punto in cui, fino a pochi minuti prima, sua figlia stava giocando con le cuginette. Nell’ambito del violento interrogatorio al quale fu sottoposto Giovanni Mignano, identificato come gregario del clan rivale che aveva partecipato al raid e finalizzato a fargli rivelare il nome del complice, il boss Marco De Micco pronuncia una frase emblematica: “mi sembra quel porco del padre”. Chiaro il riferimento a Giuseppe Mignano, un tempo affiliato al clan Sarno, poi confluito nell’ala scissionista capeggiata da Antonio De Luca Bossa e ucciso proprio in veste di fedelissimo di quest’ultimo. I killer gli tesero una trappola e dopo averlo ucciso, gettarono sul cadavere di Mignano una mazzetta di soldi in senso dispregiativo.
Il clan De Micco, per certi versi, può essere ritenuto la naturale continuazione del clan Sarno sul territorio, così come testimonia la presenza di soggetti legati agli ex boss di Ponticelli nel cartello dei cosiddetti “bodo”, come “i miobabbo” alias la famiglia Viscovo, fedelissimi dei Sarno, oltre che di Carmine Montagna, parente diretto dei Sarno, giusto per citare i due casi più vistosi.
Seppure i De Micco rimasero neutrali quando la fazione antagonista iniziò a compiere una sequenza di omicidi con l’intento di vendicarsi dei Sarno, rei di aver inguaiato i gregari che avevano deciso di non seguirli nel percorso di collaborazione con le dichiarazioni rese nell’ambito del processo volto a far luce sulla strage del bar Sayonara, all’indomani della collaborazione della regista di quelle stragi, “la pazzignana” Luisa De Stefano, il clan attualmente egemone a Ponticelli ha molteplici interessi da preservare che ne legittimano la scesa in campo in prima persona.
Del resto, Mario Volpicelli, cognato dei Sarno estraneo alle dinamiche camorristiche, ucciso per compiere una vendetta trasversale era anche lo zio di Gennaro Volpicelli, fedelissimo killer dei De Micco.
Un intreccio di fatti e persone galvanizzato dalla crescente tensione che si registra tra le strade del quartiere e dalle circostanze che impongono ai De Micco di adottare il pugno duro. In questo clima, il clan attualmente egemone a Ponticelli ha deciso di esibire il cartellino rosso ai parenti di Luisa De Stefano, rimarcando la richiesta a suon di spari.