Chiuso il cerchio delle indagini volte a far luce sull’omicidio di Francesco Esposito detto ‘o chiatto, 33enne legato ai Mazzarella freddato sotto casa la sera del 6 febbraio del 2016. I killer avevano atteso che uscisse dalla sua abitazione di Marigliano, in provincia di Napoli, poco dopo la mezzanotte e lo uccisero con un unico colpo di pistola al petto.
A otto anni di distanza, mandanti ed esecutori di quell’omicidio hanno un nome e un cognome. Determinanti le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia e dal killer che ha confessato l’omicidio. Le indagini dei carabinieri del Nucleo Investigativo e della Compagnia del Gruppo di Castello di Cisterna hanno permesso di identificare il mandante, l’organizzatore e gli esecutori dell’agguato.
Cinque persone sono finite in carcere, una ai domiciliari su richiesta della direzione distrettuale antimafia. L’accusa, omicidio aggravato dalle finalità mafiose.
Un delitto maturato nell’ambito dei contrasti sorti in quegli anni tra due gruppi criminali di Napoli e provincia, allo scopo di affermare la propria egemonia nel comune vesuviano di Marigliano. Su un versante i Mazzarella, sull’altro i Rinaldi. Erano gli anni in cui questi ultimi erano confluiti nell’alleanza costituita dai vecchi clan dell’ala orientale di Napoli entrando in affari con gli Aprea di Barra, ma soprattutto con i Minichini-De Luca Bossa di Ponticelli e le “pazzignane” del rione De Gasperi di Ponticelli.
Proprio l’esecutore materiale dell’omicidio killer, reo confesso, Michele Minichini detto ‘o tigre ha rivelato che prima di uccidere Esposito si affrettò ad avvelenare il cane che avrebbe potuto abbaiare nel vederlo, rischiando quindi di mandare all’aria l’agguato
Esposito era originario di Piazza Marcato, ma si era trasferito in pianta stabile nel comune del vesuviano dove si era alleato con il boss locale Cristiano Piezzo, referente dei Mazzarella nell’area vesuviana. Per questo motivo era entrato in contrasto con il boss Luigi Esposito “’o sciamarro” , legato invece ai Rinaldi e non solo. ‘O sciamarro era il suocero di Tommaso Schisa, rampollo del clan delle “pazzignane” figlio dell’ex Sarno Roberto Schisa, condannato al carcere a vita, e di Luisa De Stefano, figura apicale della neonata alleanza in quegli anni. Insieme alle sue parenti Vincenza Maione e Gabriella Onesto, la madre di Schisa rappresentava la figura più autorevole dell’organizzazione rifondata sulle rovine del clan Sarno. Lo stesso Tommaso Schisa, oggi collaboratore di giustizia, fu uno dei principali protagonisti di quella stagione di sangue che fece registrare omicidi ed azioni efferate non solo nell’area vesuviana, ma anche tra le strade della periferia orientale di Napoli. Del resto, proprio Schisa e Michele Minichini furono i principali artefici di quelle azioni armate. La confessione di ‘o tigre altro non fa che confermare questo dato di fatto, concorrendo a far luce sull’ennesimo delitto da lui compiuto. Una confessione che matura in aula il 25 ottobre del 2021, quindi a due anni di distanza dalla decisione di Schisa di collaborare con la giustizia.
“Esposito stava suonando al citofono sul portoncino d’ingresso del condominio quando mi presentai alle sue spalle, dandogli un piccolo colpetto con la mano. Lui si girò e a quel punto gli esplosi un solo colpo di pistola che lo ferì al petto. Non sparai più perché l’arma si inceppò: era una calibro 9×21. L’omicidio – aveva aggiunto Minichini nel corso della sua deposizione – mi è stato chiesto espressamente da Tommaso Schisa. Mi chiese il favore di colpire qualcuno che apparteneva al clan che operava a Marigliano riconducibile a Cristian Piezzo. Mi condusse alla sua abitazione, dalla cui camera da letto si vedeva bene l’edificio in cui risiedeva Esposito”.
Un agguato di camorra ricostruito anche grazie alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Massimo Pelliccia, ex cognato dello sciamarro Luigi Esposito che ha svelato alla magistratura il movente dell’omicidio, ordinato dallo “sciamarro” Luigi Esposito quando scoprì che il boss del clan rivale stava pianificando il suo agguato e aveva conferito proprio a Francesco Esposito l’incarico di fare uno squillo ai sicari quando lo avrebbero visto nei pressi della sua abitazione, affinché potessero entrare in azione. “Le pazzignane” Vincenza Maione e Luisa De Stefano funsero il ruolo di intermediarie consentendogli di prendere accordi con il boss Ciro Rinaldi per pianificare l’omicidio del “filatore” Francesco Esposito. Il collaboratore Massimo Pelliccia ha confermato agli inquirenti che Rinaldi affidò a Michele Minichini il ruolo di esecutore materiale. Un copione che si è ripetuto più volte in quel momento storico, negli anni in cui il boss Ciro Rinaldi ripose grandi aspettative in Michele Minichini affidandogli il ruolo di braccio armato del clan, affinché potesse riuscire ad avere la meglio sui Mazzarella su entrambi i versanti: entroterra vesuviano e periferia orientale di Napoli.
Per quello omicidio sono stati notificati in carcere i provvedimenti restrittivi al boss del Rione Villa, Ciro Rinaldi, 60 anni; Luigi Esposito, ‘o sciamarro 52enne di Marigliano; Luisa De Stefano, 52enne consuocera dello sciamarro e madre del pentito Tommaso Schisa, che figura tra gli organizzatori dell’omicidio e raggiunto pure lui dall’ordinanza nella sua dimora di collaboratore; Vincenza Maione detta “Enza”, 47enne parente della De Stefano e infine il killer Michele Minichini, 33 anni.