Stessa dinamica, stesso scenario, stessa modalità d’esecuzione, stessa trappola mortale: tante, troppe le analogie tra gli ultimi due omicidi sui quali c’è la firma della camorra di Ponticelli.
Il primo, quello in cui perse la vita Alessio Bossis, 22enne affiliato ai clan alleati di Napoli est che covava il sogno di fondare un sodalizio autonomo, fu una vera e propria dimostrazione di forza militare, oltre che di egemonia territoriale, perchè avvenuto lontano dalle strade di Ponticelli. I sicari entrarono in azione nel parcheggio di “In Piazza”, area di ristoro assai frequentata, in via Monteoliveto a Volla, comune di residenza di Bossis, dove il 22enne, scarcerato a maggio del 2022, viveva da sorvegliato speciale. Eppure, aveva violato in più di una circostanza la misura che gli vietava di allontanarsi dal comune di residenza per recarsi a Ponticelli. L’ultima si sarebbe rivelata fatale. Pochi giorni prima dell’agguato, avvenuto lo scorso 24 ottobre, Bossis avrebbe capeggiato il commando che, a bordo di un’auto, avrebbe fatto irruzione nella zona del “Lotto 10”, sparando una raffica di proiettili contro diversi esponenti del clan De Micco-De Martino che stanziavano nei pressi della “pizzeria Stella”.
Un agguato in piena regola che solo per una fortuita casualità non si sarebbe tradotto in un omicidio eccellente. Diversi gli elementi di spicco della cosca presenti sul posto al momento degli spari, tra i quali il figlio di uno dei fratelli De Micco e alcuni ras del clan. Un membro del gruppo avrebbe a sua volta prontamente replicato al fuoco, indirizzando una serie di spari verso l’auto dei rivali.
Pochi giorni dopo, Bossis sarebbe così stato attirato in una trappola, rivelatasi fatale, presentandosi spontaneamente all’appuntamento con la morte, accompagnato da due amici, suoi fedeli alleati. Un incontro chiarificatore probabilmente, o meglio, questo era stato fatto credere al 22enne che mai prima di quel momento aveva frequentato quel luogo. Una scelta tutt’altro che casuale, probabilmente, quella di assassinare Bossis da “In piazza”, complice la presenza di un ampio parcheggio nel quale i sicari hanno ipotizzato di poter agire con una certa facilità ed altrettanto abilmente avrebbero potuto poi dileguarsi dalla scena del crimine. E così è stato. Bossis, sarebbe addirittura stato accompagnato sul posto da una persona che poi si è allontanata, lasciandolo con l’intenzione di andare a riprenderlo quando l’incontro si sarebbe concluso, è stato colto alla sprovvista dal killer, basso e dalla corporatura esile, che ha lasciato incolumi i due accompagnatori dell’aspirante baby-boss.
Secondo fonti vicine ai giovani che orbitavano intorno a Bossis, l‘omicidio sarebbe stato voluto dai De Micco con il beneplacito dei De Luca Bossa, ex alleati del 22enne con il quale, soprattutto negli ultimi tempi, erano sorti numerosi dissidi. I rapporti tutt’altro che idilliaci tra Alessio Bossis e Christian Marfella, non erano affatto un segreto. Le prime ruggini erano nate quando erano entrambi detenuti per ragioni di carattere economico, legate agli stipendi che un clan che si rispetti è tenuto a corrispondere agli affiliati in carcere per consentirgli una detenzione ottimale. La scarcerazione dei due è avvenuta pressochè in contemporanea, a distanza di un mese, Bossis a maggio, Marfella a giugno. La scalpitante impellenza di marcare la scena camorristica da leader li avrebbe portati a scontrarsi più volte. Dissidi poi sedati, ma il rancore no. Al cospetto della palese volontà di Bossis di richiamare a sè lo zoccolo duro di giovanissimi, provenienti da Volla come lui, e che in sua assenza avevano fornito un valido contributo alla causa al clan del Lotto O, unitamente alle eclatanti “azioni in solitaria” di cui si era reso protagonista durante l’estate del 2022, potrebbero aver indotto i De Luca Bossa a negoziare un accordo con gli odiati De Micco, pur di ripristinare la pace, acconsentendo all’omicidio di Bossis.
Ne sono certi i ben informati in materia camorristica del Lotto O, agli occhi dei quali non è passato inosservato un dettaglio cruciale: mentre si consumava l’omicidio di Bossis, Christian Marfella è sempre stato affacciato alla finestra, intento a scambiare chiacchiere con i passanti o a fumare una sigaretta. Un atteggiamento che con il senno di poi palesa la chiara intenzione di volersi costruire un alibi di ferro, stroncando sul nascere l’ombra del sospetto.
Così come i fuochi d’artificio esplosi nel Lotto O, poche ore dopo l’omicidio Bossis, non sono passati inosservati. Ufficialmente voluti per festeggiare il compleanno di Anna De Luca Bossa, la lady-camorra condannata all’ergastolo in via definitiva che quella sera era collegata in videochiamata con i parenti. A maggior ragione, quel fragoroso festeggiamento ha fatto storcere il naso a tanti, perchè ritenuto fuori luogo ed irrispettoso, in virtù della morte violenta di un giovane avvenuta poche ore prima e che per giunta aveva ricoperto anche un ruolo piuttosto importante nel clan Minichini-De Luca Bossa. Un festeggiamento che doveva andare in scena, probabilmente anche per diramare un messaggio subliminale ben preciso, in riferimento alla morte di Bossis.
Un delitto che sarebbe stato materialmente eseguito da due giovani ras dei De Micco-De Martino che in cambio avrebbero ricevuto il controllo dei traffici illeciti di due rioni-simbolo dell’egemonia dei “bodo” a Ponticelli: il Lotto 10 e San Rocco.
La modalità d’esecuzione e le circostanze in cui è maturato l’omicidio Vanacore, avvenuto lo scorso 6 febbraio in viale Margherita, zona controllata dai De Micco, come anticipato, presentano numerose analogie con il copione inscenato per assassinare Bossis.
Secondo quanto riferito da persone vicine alla famiglia Vanacore, negli ultimi tempi, il 34enne era restio a recarsi nella zona, seppure la sua famiglia viva a San Rocco. Da diverso tempo, infatti, non si faceva vedere da quelle parti, seppure pare che abitasse in via Molino Salluzzo, zona comunque controllata dai De Micco-De Martino. Quel pomeriggio, in compagnia del cugino, probabilmente era diretto ad un incontro chiarificatore, poi rivelatosi una trappola mortale. Proprio come era accaduto a Bossis.
Forte della presenza di un parente, nonchè persona in ottimi rapporti con i giovani eredi dei “Bodo”, ai quali lo lega un’amicizia nata da bambini, Vanacore si sarebbe fidato, uscendo allo scoperto per regolare un conto in sospeso. Appena ha imboccato via Immacolata Concezione, proveniente da Viale Margherita, è stato affiancato da uno scooter dal quale, il passeggero avrebbe esploso almeno 14 colpi d’arma da fuoco, due dei quali lo avrebbero colpito al volto, mentre il cugino, sarebbe riuscito prontamente a scappare.
Il cugino di Vanacore, così come gli amici di Bossis, erano ignari dello scenario che di lì a poco si sarebbe prospettato e probabilmente la loro presenza era una condizione necessaria per stanare la vittima finita nel mirino dei killer. Un escamotage che lascia intravedere la regia di una mente pensante esperta e profonda conoscitrice nelle dinamiche camorristiche, capace di indottrinare le giovani leve, forgiandole a immagine e somiglianza di un disegno malavitoso ben preciso che mira ad esporre ai pericoli più concreti le leve più giovani ed inesperte per preservare “i senatori”, i veri capi dell’organizzazione.
Un’altra azione militare, orchestrata ed eseguita senza sbavature, sprezzanti delle videocamere che pullulano nella zona, altra circostanza analoga all’omicidio Bosssis. La presenza di dispositivi in grado di rilevare elementi utili alle indagini investigative, non sembra fungere da fattore deterrente per i killer di Ponticelli. Anche questo aspetto si presta ad una serie di riflessioni che concorrono a delineare l’identikit degli attuali interpreti della malavita ponticellese: giovani, sfrontati, irriverenti, cinici, pronti a tutto, sprezzanti delle conseguenze delle loro azioni.
Appare un’ipotesi tutt’altro che remota che a sparare a Vanacore sia stato lo stesso killer che ha assassinato anche Bossis.