Tommaso Schisa, rampollo della famiglia Schisa-De Stefano, erede del clan delle “pazzignane”, nel 2015 stipulò un patto d’onore con l’affiliato al quale era più legato: Michele Minichini, figlio del boss Ciro detto “Cirillino”. Entrambi sono figli di malavitosi che un tempo marcarono la scena camorristica dell’ala orientale di Napoli e che poi sono finiti in carcere. Ad aggravare le loro posizioni hanno contribuito soprattutto le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia, quegli stessi Sarno che in un passato, ormai lontano anni luce, furono tra gli interpreti più autorevoli della malavita, per poi optare per il pentimento. Il patto tra gli eredi dei due uomini d’onore scaturisce proprio nell’ambito di una conversazione relativa al pentimento dei Sarno.
«Io e Michele Minichini abbiamo fatto un patto di sangue. I termini erano questi: se mi fossi pentito io, egli avrebbe ucciso mia sorella Rosa. Se si fosse pentito lui, io gli avrei ucciso sua sorella Martina».
A rivelarlo è Tommaso Schisa in un verbale datato 11 novembre 2019. Sprezzante di quel patto che sanciva la condanna a morte della sorella, nell’estate del 2019 Schisa decide di emulare le gesta degli odiati Sarno avviando il percorso di collaborazione con la giustizia.
Una decisione che inevitabilmente sancisce l’inizio del un sofferto calvario per sua sorella Rosa. Poco più che ventenne, Rosa è la figlia di due genitori entrambi detenuti e condannati all’ergastolo, il suo unico fratello è in carcere e l’impossibilità di contattarlo e ricevere sue notizie, lascia presto dedurre al resto dei familiari che abbia deciso di collaborare. Rosa non è mai stata coinvolta negli affari di famiglia e durante le concitate fasi che hanno animato l’estate del 2019 nel Rione De Gasperi di Ponticelli, ex roccaforte dei Sarno poi diventato il presidio della famiglia/clan Schisa-De Stefano, è diventata madre per la prima volta da pochissimi giorni.
Malgrado la giovane età, lei e il suo fidanzato Vincenzo sono già genitori e convivono nella casa della madre di Rosa. Vincenzo proviene da una famiglia onesta, figlio di lavoratori estranei alle dinamiche malavitose, inizialmente anche lui si era tenuto fuori dalle vicende camorristiche, svolgendo un lavoro normale. Suo cognato Tommaso, durante il breve periodo trascorso lontano dal carcere, si limitava a passargli dei soldi per farli divertire, poi le cose sono cambiate e al cospetto dei primi segnali di difficoltà Vincenzo è stato reclutato per mantenere attiva la piazza di droga gestita dalla famiglia. Motivo per il quale viene anche arrestato. Tommaso Schisa affida a suo cognato Vincenzo anche l’incarico di tenere compagnia al latitante Ciro Contini, il quale, in segno di gratitudine gli regalerà un tatuaggio eloquente: il 17 che brucia, simbolo per antonomasia del clan Sibillo di Forcella.
Rosa e Vincenzo sono due giovani genitori, innamorati e spaventati, perchè si vedono catapultati in una situazione molto più grande di loro. Consapevoli di quel patto d’onore che condanna a morte Rosa, i due giovani temono per la loro incolumità e al contempo hanno una neonata alla quale badare. Seppure i vertici del clan Minichini-De Luca Bossa li tranquillizzino ed esercitino enormi pressioni per fare in modo che la ragazza resti a Ponticelli in modo da tenere in pugno suo fratello Tommaso affinchè ritorni sui suoi passi, i due giovani decidono di partire per la Germania dove vive una sorella della madre di Rosa.
La permanenza dei due giovani neogenitori e della loro bambina in terra tedesca dura poco. A Ponticelli è in pieno atto il violento e funesto piano ordito dalle parenti della ragazza, intenzionate ad indurre il fratello Tommaso a ritrattare. La casa del giovane Schisa viene vandalizzata, ma è soprattutto contro la sua ex moglie che si concentra l’ira delle “pazzignane”. I due giovani faticano ad ambientarsi, Vincenzo deve prima imparare la nuova lingua e poi cercare un lavoro, ma nel frattempo i soldi scarseggiano. I parenti si rifiutano perfino di comprare il latte e i pannolini per la piccola.
Malgrado le pressioni dei parenti che provano a convincere Rosa di fingere di accettare il programma di protezione con l’unico intento di incontrare il fratello per indurlo a ritrattare, i due fidanzati capiscono che quella non può essere una farsa: il programma di protezione può essere l’unica strada da perseguire per uscire da quell’inferno, soprattutto perchè Rosa non vuole voltare le spalle a suo fratello, l’unico membro della sua famiglia che un giorno potrà uscire dal carcere e reputa giusto appoggiare la decisione di Tommaso, intenzionato a giocarsi l’unica carta vincente per costruirsi un futuro lontano dal carcere e dalla camorra.
Appena atterrano a Capodichino, Rosa, Vincenzo e la loro bambina vengono subito presi in carico dalla polizia: la loro nuova vita inizia non appena mettono piede a Napoli. Non gli viene data neanche la possibilità di tornare a Ponticelli per recuperare vestiti, effetti personali, ricordi. Un rischio troppo elevato che non vale la pena di correre con i vecchi alleati del fratello pronti a tutto e legittimati a rendere esecutiva quella sentenza di morte decretata dallo stesso Tommaso, laddove si fosse configurato quel temuto scenario.
Un bagaglio ricco di incertezze, paure e buone speranze: questa la valigia che ha accompagnato la sorella di Tommaso Schisa, il suo fidanzato e la loro bambina in quel viaggio verso una nuova vita, necessario per salvargli la vita.
Di contro, le zie di Rosa e Tommaso, le sorelle della madre, rifiutano con sistematica fermezza il programma di protezione e rinnegano non solo “il nipote pentito”, ma anche sua sorella, rea di aver contribuito a determinare la rovina della loro famiglia/clan appoggiando la scelta del fratello di collaborare. I familiari avrebbero voluto fortemente che Rosa seguisse le loro direttive e, invece, quei due giovani ragazzi, hanno dovuto trovare da soli la loro strada, seppure tantissimi e confusionari eventi concorressero ad offuscarne la lucidità, Rosa e Vincenzo hanno compreso che seguire il cammino indicato da Tommaso era l’unica cosa giusta da fare.
Sono trascorsi tre anni e seppure i familiari rimasti a Ponticelli seguitino a vivere restando saldamente ancorati al codice d’onore della malavita, Rosa e Vincenzo sono riusciti a costruirsi un futuro diverso, migliore, lontano da Napoli, garantendo alla loro bambina una vita distesa e distante dalle brutture della camorra.