Reputava troppo irrequieto un neonato e per questo gli ha somministrato della morfina per zittirlo: per questo motivo un’infermiera è stata arrestata dalla Polizia di Verona per una somministrazione di morfina ad un neonato che gli ha causato una overdose dalla quale è scaturito un arresto respiratorio.
La donna è in servizio presso l’Asl di Verona. Avrebbe somministrato morfina al neonato in assenza di una prescrizione medica e senza necessità terapeutiche. L’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Livia Magri su richiesta del pm Elvira Vitulli.
L’episodio sul quale hanno indagato gli agenti dopo la segnalazione dell’Asl risale alla notte tra il 19 e il 20 marzo scorso. Prima dell’overdose, il bimbo stava benissimo, non assumeva alcun farmaco ed era stata programmata la sua dimissione per il giorno successivo. Dopo la mezzanotte il neonato inspiegabilmente aveva subito ripetute crisi respiratorie, tali da rendere necessario il suo trasferimento in una stanza di cura intensiva per praticare le manovre di rianimazione.
Con il peggiorare del quadro clinico, la stessa infermiera ha ordinato a una collega di somministrare un farmaco antagonista degli oppiacei, come la morfina, indicando anche il dosaggio. Immediatamente dopo il neonato aveva ripreso a respirare autonomamente. Dagli accertamenti medici è emerso che la crisi respiratoria era stata dovuta proprio all’assunzione di morfina, avvenuta poche ore prima della crisi. Secondo gli investigatori, non si è potuto trattare di un errore, in quanto la morfina viene somministrata ai neonati per via endovenosa e non orale o nasale.
A destare sospetti è stato il fatto che l’infermiera, durante l’indagine interna avviata dall’Asl, aveva dichiarato di non ricordare chi avesse ordinato la somministrazione del farmaco antagonista agli oppiacei, mentre le testimonianze concordavano che fosse stata proprio la donna ad aver accudito il bambino con una collega e di essere stata sempre lei a ordinare con sicurezza la somministrazione del farmaco anti-morfina. Inoltre, una collega ha raccontato che l’infermiera le aveva confidato di fare abituale utilizzo di morfina e benzodiazepina, pur in assenza di prescrizione, somministrandola ai neonati per via orale o nasale per farli stare tranquilli, senza rendersi conto dei pericoli.
Il neonato del «box 1» che si sente male, il cuoricino che quasi si ferma. Sta per morire. E mentre l’équipe medica ancora si chiede cosa stia accadendo, un’infermiera comincia a dare indicazioni ai medici: «Del Naloxone, subito!». Nel reparto scende il gelo e alla fine il medico di guardia ordina: «Fate come dice». Andò così, quella notte tra il 19 e il 20 marzo, nel reparto di pediatria neonatale del policlinico di Borgo Roma, a Verona. E per qualche ora l’infermiera Federica Vecchini, 43 anni, fu l’eroina dell’ospedale, visto che il bimbo si è salvato per un soffio proprio grazie a quella sostanza, un’antagonista degli oppiacei. Una diagnosi azzeccata. Precisa al millimetro. Forse troppo. Quando, il giorno successivo, il medico riferì l’episodio al direttore della Pediatria, iniziarono le verifiche interne.
L’infermiera, in un momento di frustrazione, avrebbe definito «bambino rognoso» il piccolo, perché piangeva troppo. Lei nega ma le indagini vanno avanti per capire se davvero abbia usato oppiacei anche su altri bimbi.