Taranto, 11 giugno 1997 -Raffaella era una bambina di 11 anni che voleva fare il giudice per strappare suo padre alla droga e che è morta al posto del suo papà.
Un sogno mandato in frantumi proprio l’ultimo giorno di scuola, quando, dopo tanto tempo, Antonio Lupoli, 34 anni, separato, tossicodipendente, con piccoli precedenti, un impiego precario da 800mila lire al mese come lavoratore socialmente utili della Provincia di Taranto, era andato a trovare la figlia per farle fare un giro in macchina e festeggiare la fine delle lezioni. Tre proiettili che un killer ha sparato al padre, forse per punirlo di uno sgarro. Uno le ha spezzato il cuore, mentre lui, atterrito, allungava una mano quasi per fermare i colpi e gridava “Raffaella, Raffaella…”, e correva verso l’ospedale. Al Pronto soccorso la bambina che voleva indossare la toga ha chiuso gli occhi e il suo cuore ha smesso di battere. E la mano pietosa di un infermiere ha messo un fiore rosso su quella barella, mentre il padre urlava, e arrivava gente.
La triste storia di Raffaella commosse l’intera Taranto: una bambina sfortunata, nata in una famiglia sfortunata, segnata da una crisi coniugale e dilaniata dalla droga che aveva inghiottito il padre. Quello dell’eroina per la bambina era diventato un incubo. Invece di giocare con le bambole, pensava a quella toga che un giorno avrebbe voluto indossare. Forse pensava che se fosse diventata giudice, le avrebbero restituito il padre dal quale era sempre più lontana, dopo che i genitori avevano deciso di separarsi. Proprio il giorno prima era giunta la sentenza di divorzio da parte del Tribunale. Anche per questo Antonio Lupoli aveva voluto rivedere la figlia.
E i parenti raccontano: “E’ vero voleva fare il giudice. Diceva che doveva togliere di mezzo tutti quelli che avevano a che fare con la droga”. Abbastanza alta per la sua età, biondina, occhi vivaci, anche se negli ultimi tempi erano un po’ tristi, Raffaella passava ore a guardare la televisione, soprattutto i telegiornali, quando mostravano i processi e i magistrati.
La mamma, Patrizia Turi, 32 anni, dipendente di una ditta di pulizie, è sotto choc: viveva con Raffaella in una casetta di Gandoli, 13 chilometri da Taranto, un luogo di villeggiatura. Ieri sera il marito dal quale era separata da sette anni, è passato da casa: “Raffaella vieni, facciamo un giro”, ha detto. La bambina è uscita ed è salita sull’ auto del padre che non vedeva da molti giorni. Lui abita a Statte, nei pressi della zona industriale di Taranto. Un giro, con la bambina, su quella “Tipo” bianca targata Brescia. Poi s’ è diretto verso il rione Tamburi, adiacente al complesso del siderurgico. Una zona che conosce bene – anche perchè lì abitano parenti della sua nuova compagna – e che, secondo gli investigatori, batteva per motivi di droga. Forse aveva iniziato a spacciare. Forse aveva commesso uno sgarro. Di certo, la macchina era seguita e il killer è entrato in azione quando padre e figlia si sono fermati in piazza. Erano passate le 21 e sul lato destro di piazza Gesù Divin Lavoratore, il cuore del rione Tamburi, ad alto rischio criminale, l’auto si è bloccata. E’ sbucato un motorino, due a bordo, uno è sceso e ha puntato una pistola calibro 9. Antonio Lupoli non ha fatto nemmeno in tempo a rendersi conto di quello che stava accadendo: il killer ha sparato quattro colpi, tre hanno raggiuto Raffaella che era sul sedile accanto al padre. La bambina è stata colpita al fianco destro, al braccio e l’ ultimo proiettile, quello mortale, l’ha trafitta al cuore.
Il padre, raggiunto di striscio da una pallottola alla mano destra, ha ingranato la marcia ed è partito verso l’ ospedale più vicino, la casa di cura ‘San Camillo’ . Ha incontrato una volante e ha affidato Raffaella agonizzante agli agenti. Di corsa verso l’ ospedale ‘SS. Annunziata’ , ma non c’ è stato nulla da fare: Raffaella era già morta. Antonio Lupoli, sotto choc, ha parlato: ha detto d’ essere stato affiancato da due giovani a volto scoperto e d’ aver tentato di proteggere Raffaella quando ha sentito partire i colpi. Il sostituto procuratore Maurizio Carbone l’ ha interrogato ieri, mentre la Polizia sta setacciando il mondo del traffico di stupefacenti, un tunnel dal quale il padre di Raffaella non era mai uscito, visto che in casa gli sono state trovate due siringhe. Distrutti dal dolore anche i compagni di classe di Raffaella che frequentava la quinta elementare del tredicesimo circolo al rione Paolo VI. In mattinata avevano festeggiato la fine delle lezioni: merendine, Coca-Cola e aranciata e c’era anche chi scherzava su Raffaella che sarebbe diventata un “giudice di ferro”. “A scuola andava bene, nessun problema”, raccontano.
Dopo la festa, Raffaella era tornata a casa, dalla madre. Nel pomeriggio, era uscita con uno zio. Forse per un tragico scherzo del destino l’aveva accompagnato nell’ ospedale nel quale sarebbe stata trasportata morente qualche ora dopo.