Anticamente la zona orientale di Napoli era costituita da paludi alimentate dal fiume Sebeto e dai suoi affluenti. Il Sebeto, proveniente dalle sorgenti della Bolla sul monte Somma, giunto a Napoli, probabilmente si divideva in due rami principali che sfociavano l’uno nella zona di piazza del Municipio e l’altro in quella del ponte della Maddalena.
Un ponte sulla foce del fiume, nel posto in cui vi è quello della Maddalena, era già presente in epoca romana, come è testimoniato da una colonna miliare con iscrizione latina, la quale affermava che da lì in poi mancavano 1283 passi per Reggio Calabria. La colonna rimase sul posto fino al 1872, quando fu trasferita nel museo nazionale di San Martino. Durante il Medioevo risulta la presenza di un Pons Paludis che, dopo l’assedio di Roberto il Guiscardo del 1078, prese il nome di ponte Guizzardo. Il nome di ponte della Maddalena, in onore della trecentesca chiesa di Santa Maria Maddalena, fu attribuito dopo l’alluvione del 1566 che procurò gravi danni alla struttura.
Gravi danni il ponte li aveva riportati anche durante l’assedio del francese Odet de Foix, conte di Lautrec, che, nell’estate del 1528, distrusse l’acquedotto della Bolla nel tentativo di prendere la città per sete. Le acque della Bolla si riversarono in quelle stagnanti delle paludi ed il calore estivo agevolò lo scoppio di una epidemia di peste che uccise gran parte dei due eserciti e lo stesso Lautrec. Nel 1529, finita la peste, per ringraziarla della sua intercessione, fu eretta un’edicola sacra con l’immagine di S. Maria di Costantinopoli accanto alla chiesa di Santa Croce, alla quale negli anni seguenti darà il nome. La chiesa si trovava sulla sponda di uno degli affluenti del Sebeto. Nella stessa zona del ponte, già nel 1500 esisteva una caserma di cavalleria, che nel 1582 il vicerè di Napoli Pietro Giron di Ossura fece spostare in città, nella zona dell’attuale Museo Archeologico per allontanarla dai miasmi del fiume e delle paludi. Lo stesso vicerè fece riparare l’acquedotto della Bolla.
La foce del Sebeto era ricca di terreni fertili e si prestava sia alla coltivazioni che all’allevamento, in particolare di bufali, sfruttati per la produzione di formaggi e latticini. Si diceva che un giorno una bufala scavando nel terreno aveva fatto zampillare una sorgente d’acqua, per cui quel luogo prese il nome di ‘acqua della Bufola’. Nei pressi del ponte lavorava un mulino e vi furono trasferite molte attività ritenute nocive in città.
Verso il 1650 gli abitanti della zona si rivolsero di nuovo alla Madonna di Costantinopoli, perchè spaventati da una vera e propria invasione di mosconi, sospettati di diffondere epidemie.
Nel XVIII secolo, il ponte della Maddalena subì restauri e danni. Formato da cinque grandi arcate, con quella centrale più ampia rispetto alle altre, aveva all’ingresso due edicole alquanto simili, formate da colonne di marmo bianco con un frontone triangolare. Sul lato sinistro vi è la statua di San Giovanni Nepomuceno, patrono di tutti coloro che rischiano di annegare. La statua fu offerta nel 1731 dalla moglie del vicerè austriaco, il conte di Harrach, che fece costruire la strada della Marinella che dal castello del Carmine giungeva fino al ponte.
Sul lato destro vi è invece una statua di San Gennaro realizzata nel 1768 nella bottega di Francesco Cerebrano. Voluta da padre Gregorio Maria Rocco, a seguito dell’eruzione del Vesuvio del 1767, la statua mostra un braccio teso, come per impedire alla lava di imboccare il ponte.
Nel 1799 vi si svolsero aspri combattimenti tra le truppe di Championnet e quelle sanfediste del Cardinale Ruffo, che sancirono la fine della Repubblica Partenopea.
Nel 1875 il ponte fu restaurato ed abbassato per consentire un servizio di omnibus tra Napoli, Largo San Ferdinando e Portici. Giunti ai Granili, gli omnibus cambiavano le ruote e proseguivano su rotaie fino a Portici, come tram.
Attualmente, prosciugate le paludi, scomparso il fiume, la zona è molto abitata e il ponte ha perso tutta la sua funzione. La statua di San Giovanni è stata inglobata in un edificio.