Il 3 giugno del 1968, a 2 Km da Paestum, in una località denominata Tempa del prete, fu portata alla luce, in circostanze fortunate, un manufatto dell’arte funeraria della Magna Grecia: la tomba del tuffatore.
Si trattava di una tomba a cassa, costituita da cinque lastre calcaree in travertino locale che nulla lasciava sospettare, al momento del rinvenimento, che questa dovesse particolarmente distinguersi dalle molte migliaia di tombe che erano state rinvenute precedentemente intorno a Paestum, al di fuori di una cura particolare posta nel suturare con stucco bianco le congiunzioni tra le varie lastre, come se si fosse voluto evitare che l’acqua o il terreno penetrassero nell’interno della tomba.
Sollevata la lastra di copertura, apparve la tomba completamente affrescata, non solo nelle pareti interne delle quattro lastre formanti la cassa, ma anche e questa fu davvero una strana novità, nell’interno della lastra di copertura.
Tutto il contesto iconografico è anomalo in un manufatto di ambiente magno-greco. L’uso di figurazioni nelle sepolture era infatti tipico dell’Etruria, mentre sostanzialmente sconosciuto alla Magna Grecia, le cui tombe erano al più decorate con stile calligrafico.
Anche l’associazione tra temi ultraterreni e contesti conviviali risente di un influsso artistico e cultuale proveniente dal mondo etrusco, fornendo una piena testimonianza della profondità e reciprocità degli scambi culturali e artistici tra le due civiltà sulle due sponde del Sele.
Se questo è valido per le scene simposiache, dipinte sulle pareti interne della cassa, non si può dire lo stesso per la scena dipinta sulla lastra di copertura.
In essa notevoli sono le differenze con le raffigurazioni artistiche dell’arte etrusca. Si confronti ad esempio l’atmosfera sospesa della scena del tuffo, in un contesto fiabesco e stilizzato, con quella che pervade pitture funerarie etrusche come la tomba della Caccia e della Pesca di Tarquinia.
La celebre scena che ha dato il nome alla sepoltura, rappresenta un tema totalmente estraneo sia all’arte greca, che a quella etrusca: un giovane nudo è sospeso per sempre nell’istante del tuffo solitario in uno specchio d’acqua.
Un’interpretazione simbolica, quale emblema di un trapasso ultraterreno, si presta bene a denotare la scena del tuffo. La piattaforma da cui si slancia il tuffatore allude forse alle pulai, le mitiche colonne poste da Ercole a segnare il confine del mondo, assurte a simbolo del limite della conoscenza umana. Lo specchio d’acqua, secondo la stessa opinione dello scopritore, con il suo orizzonte curvo e ondulato, rappresenterebbe quindi il mare aperto e ondoso. La posa atletica, così ravvicinata al piedistallo da far sembrare il tuffo un sorvolo, simboleggerebbe il transito verso un mondo di conoscenza: un orizzonte diverso da quella della conoscenza terrena cui un giovane greco accede secondo le convenzioni e le esperienze esemplificate nelle pratiche simposiali: l’abbandono al vino, all’eros, all’arte, sia essa musica, canto o poesia.
Questo manufatto isolato, anomalo, rimane tuttora di difficile collocazione nel contesto evolutivo dell’arte greca. Di sicuro però, viene individuato quale frutto dell’arte ellenica, il cui spirito avrebbe subito a Paestum un’originale reinterpretazione attraverso la commistione con elementi di vivacità espressiva e narrativa e di realismo figurativo mutuati dall’ambiente locale, sia campano che etrusco.
Secondo Mario Napoli, scopritore del manufatto, gli affreschi della tomba sono il prodotto di un artista pestano, non un grande pittore, forse solo un artigiano talentuoso e in quanto tale, fedele testimone di un gusto artistico e raffinato, che doveva essere patrimonio diffuso e condiviso nella Paestum del V secolo.
In occasione dell’Expo 2015, la Soprintendenza archeologica ha dato parere favorevole affinché la Tomba del Tuffatore sia portata a Milano alla mostra “Natura, mito e paesaggio dalla Magna Grecia a Pompei”, a cura dell’Università di Milano, dell’Università di Salerno, della Soprintendenza per i beni archeologici di Napoli e della Soprintendenza Speciale di Pompei, Ercolano e Stabia.
Marina Cipriani, direttrice dal 1988 del Museo nazionale e del complesso archeologico di Paestum, uno tra i più importanti e visitati al mondo, così rassicura, quanti avevano espresso parere contrario a tale spostamento: “Abbiamo scritto all’Istituto centrale del restauro, per avere tutte le garanzie necessarie per il trasferimento, ancora non è stata decisa la data, sarà comunque durante l’estate”.
Di certo nelle prossime settimane sarà necessario effettuare un sopralluogo in loco per poi disporre tutte le fasi relative a prelievo, imballaggio e trasporto scortato.