La figura di Ciro Sarno, nel corso degli anni, diventa qualcosa di molto più grande di un semplice boss di quartiere. La sua immagine si trasforma in un’icona popolare, un simbolo osannato non solo dagli affiliati del clan, ma anche dalla gente comune. A contribuire a questo mito è un mix di leggende metropolitane, racconti tramandati e azioni plateali, capaci di accrescere in modo esponenziale il fascino di un uomo che voleva essere temuto, rispettato, ma soprattutto venerato.
Il festival neomelodico del latitante
Tra gli episodi più raccontati, e discussi, c’è il celeberrimo festival della canzone neomelodica organizzato nel cuore del Rione De Gasperi. Un evento surreale: palco, luci, musicisti, cantanti e folla in festa, il tutto mentre il capo del clan era ufficialmente latitante.
Il paradosso è proprio questo: ricercato dalle forze dell’ordine, Ciro Sarno non rinuncia al desiderio di lasciarsi mitigare dal calore del suo popolo, orchestrando una festa di più giorni in suo onore. Una sorta di tributo spontaneo, ma abilmente manovrato, con cui il boss ribadisce il suo ruolo di sovrano del quartiere.
Tutti sapevano che “’o sindaco” era lì, nascosto da qualche parte tra i palazzoni, ma nessuno riuscì a scorgerlo. Una presenza-assenza che contribuì a rafforzare ulteriormente la sua aura: più furbo delle guardie, più vicino al popolo, più potente di chiunque altro.
Secondo la leggenda, alcune delle cantanti invitate avrebbero preteso di essere pagate in cocaina, consapevoli della fama di “qualità eccellente” che la droga dei Sarno aveva nel quartiere. Un dettaglio che, vero o meno, alimenta il folclore criminale di quegli anni.
Il tesoro sotterraneo del Rione De Gasperi
Tra i miti più suggestivi e duraturi c’è quello del tesoro nascosto del clan Sarno: un enorme deposito sotterraneo, accessibile attraverso un tombino nei pressi della sede dell’associazione dedicata alla Madonna dell’Arco. Una collocazione non casuale, secondo la voce popolare, perché quella posizione avrebbe garantito la “protezione” della Vergine sul patrimonio del clan.
Racconti quasi fiabeschi sostengono che, nel sottosuolo del rione, i Sarno avrebbero custodito auto di lusso, armi, gioielli, casse di contanti, perfino un carrarmato. Un “paese delle meraviglie” criminale che avrebbe alimentato fantasie e paure per decenni.
Per quanto possano sembrare storie al limite dell’assurdo, molte persone del quartiere credono ancora oggi alla loro veridicità. D’altronde, il clan aveva ampiamente dimostrato di poter mettere le mani su qualunque cosa: dalle armi provenienti dall’ex Jugoslavia a interi arsenali capaci di rifornire un piccolo esercito.
Armi e denaro: la formula del potere
Dietro le leggende, però, esiste una verità molto più concreta. La forza dei Sarno si fondava su una strategia semplice e implacabile, voluta personalmente da Ciro Sarno: per controllare un territorio servono due cose, armi e denaro.
Le armi garantivano la capacità di affrontare e neutralizzare i nemici; il denaro serviva invece a mantenere fedeli gli affiliati, creare consenso, costruire reti di favori e comprare silenzi.
Un meccanismo perfetto, che trasformò il clan in una macchina organizzativa potentissima, capace di insinuarsi in ogni angolo della vita quotidiana di Ponticelli.
Tra realtà e invenzione, tra storia e leggenda, l’immagine di Ciro Sarno continua ancora oggi a vivere nella memoria collettiva del quartiere. Un personaggio sospeso tra criminalità e folclore, che ha segnato per sempre il destino del Rione De Gasperi e di tutta Ponticelli.
In questo intreccio di verità e mito, si delinea il ritratto di un boss che ha saputo modellare il proprio potere anche attraverso il racconto e l’immaginario popolare: un sovrano criminale che, nel bene e nel male, ha lasciato un’impronta indelebile.







