13 agosto 2007, nel comune di Garlasco, in provincia di Pavia, è una calda mattina d’estate quando la tranquillità di una cittadina di poco più di diecimila abitanti viene spezzata da un omicidio che diventerà uno dei casi di cronaca più seguiti e controversi in Italia. Nella villetta di via Giovanni Pascoli viene ritrovato il corpo senza vita di Chiara Poggi, 26 anni, colpita ripetutamente alla testa con un oggetto contundente mai rinvenuto.
A dare l’allarme è Alberto Stasi, fidanzato della giovane, che dichiara di aver trovato il corpo rientrando per una visita. La scena del crimine lascia gli investigatori perplessi: nessun segno di effrazione, oggetti di valore al loro posto, tracce di sangue che portano al seminterrato dove Chiara giace, in pigiama, vicino alla porta di casa.
Inizialmente si ipotizza la pista di una rapina finita male, ma presto l’attenzione si concentra proprio su Stasi. Il 24 settembre 2007 il giovane viene arrestato con l’accusa di omicidio volontario, per poi essere scarcerato pochi giorni dopo per insufficienza di prove.
Le indagini si basano soprattutto su elementi scientifici: l’assenza di tracce di sangue sulle scarpe di Stasi, le analisi informatiche del suo computer, le testimonianze sui movimenti del giovane quella mattina. Ma ogni elemento sembra aprire più dubbi che certezze.
Il processo diventa un vero caso mediatico: nel 2009 Stasi è assolto in primo grado. Nel 2011 l’assoluzione viene confermata in appello, ma nel 2013 arriva il colpo di scena: la Cassazione annulla e ordina un nuovo processo.
Nel cosiddetto “appello bis”, Stasi viene condannato a 16 anni di reclusione (24 anni ridotti per il rito abbreviato).
A dicembre 2015 la condanna diventa definitiva con la sentenza della Cassazione.
Il delitto di Garlasco non è stato solo un caso giudiziario, ma anche un fenomeno mediatico: talk show, speciali televisivi e dirette dalle aule di tribunale hanno accompagnato ogni fase del processo. Molti osservatori hanno sottolineato come l’attenzione della stampa abbia contribuito a polarizzare l’opinione pubblica, divisa tra colpevolisti e innocentisti.
Nonostante la condanna definitiva, rimangono zone d’ombra: l’arma del delitto non è mai stata trovata e alcune tracce biologiche rinvenute non sono mai state attribuite con certezza.
Proprio per questo, nel 2025 la Procura di Pavia ha disposto nuovi prelievi di DNA a persone vicine all’ambiente della vittima e dell’imputato, pur senza riaprire formalmente il caso. L’obiettivo: confrontare quelle tracce rimaste senza nome.
Diciotto anni dopo, il ricordo di Chiara Poggi è ancora vivo nella comunità di Garlasco. La sua famiglia, riservata e determinata, continua a chiedere che si faccia piena luce su ogni aspetto della vicenda.
Il delitto di Garlasco resta una ferita aperta nella cronaca nera italiana: una storia di indagini complicate, processi infiniti e domande che, forse, non troveranno mai una risposta definitiva.