Ciro Niglio, ex figura di spicco della camorra barrese, malgrado abbia terminato da circa un anno il percorso di collaborazione con la giustizia, ha ancora tanto da raccontare. In particolare, in riferimento all’omicidio del 18enne Francesco Pio Maimone, pizzaiolo di Pianura ucciso a Mergellina a marzo del 2023, nel corso di una lite tra due bande di giovani alla quale era completamente estraneo. Si trovava poco istante, seduto al tavolino di uno dei tanti chalet del lungomare Caracciolo di Napoli in compagnia degli amici, quando il 19enne Francesco Pio Valda impugnò una pistola e sparò diversi colpi d’arma da fuoco, uno dei quali raggiunse lo raggiunse dritto al petto, senza lasciargli scampo.
La storia di Ciro Niglio sembrava introdurre quel destino già scritto che marchia le vite dei giovani nati e cresciuti nelle famiglie camorristiche e, invece, ha saputo e voluto scrivere un copione diverso.
“Mi sono reso conto che la mia non era vita, ho visto troppo sangue, troppe cose brutte. Gli omicidi dei miei cugini, i lunghi periodi di detenzione, mi hanno dato la giusta motivazione per voltare pagina. Ho capito che se avessi continuato per quella strada o sarei morto ucciso anche io o avrei trascorso gran parte della mia vita in carcere e quindi ho deciso di cambiare vita, perché quella non si poteva definire vita. Ho deciso di ripartire da zero, come se fossi un bambino piccolo. E ci sono riuscito. Inizialmente è stata dura. Mi spaventava l’idea di pregiudizi, ritorsioni o vendette. Poi la strada si è fatta in discesa. Oggi sono cambiato e non m’importa di essere marchiato come “pentito”. Lo sono, ma ho saldato il mio debito con la giustizia, com’è giusto che sia e oggi sono un uomo libero.”
Da collaboratore di giustizia ha contribuito all’arresto di centinaia di persone, tra le quali “gente di Secondigliano”, 43 affiliati al clan Cuccaro, 7 gregari dei De Micco. Niglio ha vissuto l’ascesa di Marco De Micco, quando muoveva i primi passi nel contesto camorristico dell’ala orientale di Napoli gestendo una piazza di droga per conto dei Cuccaro di Barra: “quella attuale non può più definirsi malavita, – afferma Niglio – sono guerre tra gang, hanno superato tutti i limiti. Lo dimostra, tra le tante cose, l’omicidio di Carmine D’Onofrio (figlio naturale del boss Giuseppe De Luca Bossa): Marco De Micco ordinando l’omicidio di un 23enne incensurato ha dimostrato di non essere un boss. Uno che uccide un ragazzo in quel modo, come lui ha ucciso il figlio Peppino, rinnega “i valori” ai quali si ispiravano i vecchi camorristi.”
Un percorso che Niglio ha esteso ben oltre il periodo vissuto da collaboratore di giustizia. Non appena ha terminato la sua collaborazione con la giustizia, da uomo libero, ha chiesto di incontrare la direttrice di Napolitan.it, la giornalista Luciana Esposito, per rivelare un retroscena importante in merito all’omicidio di Mergellina compiuto da suo nipote Francesco Pio Valda. Niglio non ha dubbi in merito al fatto che sia stato lui ad uccidere il 19enne di Pianura: è stato suo nipote a confessarglielo, poco prima di finire in manette, nel corso di una conversazione su Instagram.
Proprio nell’ambito della lunga intervista rilasciata lo scorso inverno, Niglio ha fornito elementi utili a far luce anche sullo scenario che si sta delineando tra le strade di Napoli e che vede la dilagante presenza di giovanissimi armati, come suo nipote Francesco Pio Valda, ma anche come quelli che di recente si sono sfidati a colpi d’arma da fuoco nell’ambito della sparatoria tra due gruppi di giovanissimi nella quale ha avuto la peggio il 15enne Emanuele Tufano, nei pressi di piazza Mercato a Napoli.
“Ai miei tempi, a Mergellina si andava disarmati, in forma di rispetto verso i clan che controllavano nella zona”: Niglio racconta che fino a pochi anni fa, il controllo della città era detenuto dalle organizzazioni camorristiche in maniera completamente diversa rispetto ad oggi e seguendo regole e dinamiche diametralmente opposte. In sostanza, i rampolli dei clan degli altri quartieri della città che intendevano concedersi una passeggiata sul lungomare di Napoli, uscivano di casa disarmati per stroncare sul nascere la possibile insorgenza di liti e conflitti che potessero sfociare in una sparatoria “in casa d’altri”, consapevoli che quella mancanza di rispetto, nel gergo malavitoso, poteva comportare conseguenze ben più gravi. Una camorra che, in sostanza, contemplava un “culto del divertimento” profondamente diverso da quello inteso e praticato dalle nuove generazioni che, di fatto, manifestano una politica ben diversa che gli impone di non uscire di casa disarmati praticamente mai. Neanche quando la premessa è concedersi un drink o una passeggiata in auto o in scooter.
Del resto, la sera in cui Francesco Pio Maimone ha perso la vita per mano del nipote di Ciro Niglio, il rampollo del clan Valda e i suoi amici, a differenza del 18enne di Pianura, non erano usciti di casa per godersi la serata, ma animati da ben altre intenzioni. Non a caso, quella sera, al culmine di una lite tra due gruppi di giovani del Rione Traiano e di Barra, Valda sparò una serie di colpi ad altezza d’uomo, uno dei quali raggiunse Maimone, malgrado fosse estraneo alla rissa.
Una testimonianza che concorre a ricostruire lo scenario in cui si destreggiano i giovani d’oggi, camorristi, aspiranti tali e non, ma pur sempre armati, non solo di coltelli e pistole, ma soprattutto di cattive intenzioni. Una premessa che per certi versi aiuta a comprendere l’escalation di violenza che si registra tra le strade della città, lasciate letteralmente in balia delle logiche violente anche dagli stessi esponenti della criminalità organizzata che non sembrano più interessati a preservare l’ordine pubblico, al fine di tutelare gli affari illeciti evitando di attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. A riprova del fatto che le nuove leve della camorra hanno imparato a beneficiare anche di questo clima caotico e confusionario, segnato da omicidi ed azioni violente compiute da giovanissimi.