“Un omicidio che provoca una profonda scossa alla città”, ha dichiarato il prefetto di Napoli Michele Di Bari al termine del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica che si è svolto in Prefettura nelle ore successive all’omicidio del 15enne Emanuele Tufano, avvenuto durante la notte di giovedì 24 ottobre nella zona di Piazza Mercato, uno dei fronti più caldi della città in materia di criminalità minorile. Proprio in questo scenario si collocherebbe la sparatoria nell’ambito della quale ha avuto la peggio il 15enne del rione Sanità, mentre era a bordo di uno scooter in compagnia di due amici, anche loro rimasti feriti in maniera non grave.
Una raffica di spari, probabilmente esplosi da più giovanissimi coinvolti nel regolamento di conti tra due bande contrapposte, entrate in conflitto per il controllo del territorio, proprio come accade tra clan di camorra quando il piatto da contendersi fa gola a due fazioni antagoniste.
La sparatoria in cui ha perso la vita il 15enne non si colloca quindi nel contesto camorristico, seppure a fungere da sfondo a una delle vicende di cronaca “più nera” degli ultimi tempi è proprio la camorra, con le sue fascinazioni ed ideologie millantatrici. Il livore di potere, il brivido del proibito, l’adrenalina e la trasgressione, ma soprattutto un inquietante predisposizione alla violenza che nell’immaginario di questi ragazzi azzera il valore della vita per privilegiare dinamiche effimere che strizzano l’occhio al denaro, al desiderio di possesso e al culto del lusso e degli eccessi.
Uno scenario che disegna una scala dei valori dove il gradino più alto è occupato dal denaro, seguito a ruota dal potere e da altre priorità che azzerano valori come l’amicizia, la famiglia, al pari dei principi sani e genuini che dovrebbero indurre i giovani ad amare la vita, senza oltraggiarla. Meno che mai per motivi che non meritano neanche di essere definiti futili, lo impone il cadavere di un ragazzino di 15 anni tramortito al suolo dallo sparo partorito dalla mano di un coetaneo. L’ennesima morte balorda, scaturita da logiche riconducibili al credo criminale che dilaga tra i giovani e continua a mietere consensi in maniera direttamente proporzionale alle vittime. Seppure consapevoli di sfidare la morte, quei giovani appaiono incapaci di redimersi, perché indietreggiare vuol dire “fare un passo indietro”, dimostrando ai rivali timore e assoggettamento. Un disonore che merita di essere scongiurato a tutti i costi, anche a discapito della vita, per l’appunto. Proprio come avviene negli ambienti camorristici.
Una generazione allevata e indottrinata da mamma camorra, seppure non si tratti di “camorristi puri” in quanto non affiliati a un clan, pur seguendo logiche e linee guide impartite da quella corrente di pensiero. Che si chiamino clan o “paranze”, la dinamica è sempre la stessa. Il dato più disarmante riguarda l’età dei giovani protagonisti degli ultimi fatti di sangue che si sono avvicendati tra Napoli e provincia, passando per le periferie. Un dato dal quale trapela un brusco abbassamento dell’età degli interpreti delle gesta criminali che, a differenza di come avveniva in passato, non scalpitano per conquistare un posto nel clan del rione, bensì per conquistare un vicolo, uno spazio qualunque, scevro dall’assoggettamento e dalla supervisione di un “padrone” per condurre in proprio gli affari illeciti, dallo spaccio di stupefacenti ai furti e alle rapine. Un fatto che di per sé giustifica la dilagante ascesa della droga tra le strade della città e non solo, al pari dell’analogo incremento dei reati predatori.
Non è affatto dissimile a quello che sta prendendo forma nella zona di Piazza Mercato, lo scenario in cui è stato prima assassinato e poi dato alle fiamme il 20enne Gennaro Ramondino, il cui cadavere carbonizzato fu ritrovato in una campagna del quartiere Pianura. Il suo assassino ha appena 15 anni e un curriculum fitto di reati. Anche in questo caso i contrasti sono scaturiti da motivazioni di carattere economico, riconducibili alla spartizione dei proventi dell’attività di spaccio di stupefacenti e il controllo della zona dove imperversa la compravendita di stupefacenti. Non a caso, il 20enne è stato assassinato in un sottoscala, luogo-simbolo dello spaccio in quel territorio che il 15enne mirava a controllare e per questo non si è fatto scrupoli ad eliminare il rivale. Anche in questo caso, dall’esecuzione dell’omicidio trapela una forte connotazione camorristica non solo per la scelta del luogo che ricopre un forte valore simbolico nel gergo criminale e che concorre a lanciare un messaggio perentorio a chiunque osasse contrastare le ambizioni del 15enne che ha marcato il controllo del territorio uccidendo lì, proprio lì, il rivale. Ugualmente indicativa la scelta di bruciare il cadavere, un modus operandi che nel gergo mafioso assume un significato ben preciso: cancellare ogni traccia di quel corpo, ritenendo che quella sia la punizione di cui si è reso meritevole compiendo le gesta terrene che ne hanno deliberato la morte.
Giovani che uccidono altri giovani per conquistare il controllo di un vicolo, di un rione, talvolta dell’androne di un palazzo o di un porticato, solo per bardare il petto con la medaglia del leader. E fare soldi, soprattutto quelli. Da spendere per gli abiti griffati, le ubriacate in discoteca, noleggiare auto lussuose, Rolex e orologi costosi. Poco importa che quella strada rischi di condannarli a non invecchiare mai, per quei ragazzi il senso della vita è breve attimi da trascorrere sopra le righe e fuori gli schemi, ostentando un tenore di vita da calciatore o da star. Studio, sacrifici, lavori saltuari o precari, ma comunque capaci di garantire un’esistenza serena e diversamente felice, appaiono prospettive da schernire e ridicolizzare. Ambizioni da “uomini senza attributi” che si accontentano di vivere strisciando, piuttosto che morire impennando a tutto gas.