Gli ex protagonisti della malavita ponticellese, passati di recente dalla parte dello Stato, stanno fornendo un contributo prezioso alla giustizia, destinato a cristallizzare ruoli e azioni riconducibili ai diversi clan operanti sul territorio, oltre a ricostruire intrecci ed alleanze, consentendo agli inquirenti di acquisire la conoscenza di fatti che diversamente rischiavano di finire nel dimenticatoio.
E’ il caso di Eduardo Fiorentino Mammoliti, il cui debutto sulla scena camorristica vesuviana avviene tra le fila del clan D’Ambrosio, complice il rapporto di parentela che intercorre tra la sua compagna e il boss fondatore dell’omonimo clan, Roberto D’Ambrosio. Un’organizzazione prettamente operante nei comuni vesuviani di Cercola e Sant’Anastasia, dapprima in affari con i De Micco, poi passati dalla parte dei De Luca Bossa, dopo che il boss Luigi De Micco estromise D’Ambrosio dagli affari illeciti gestiti a Cercola, sostituendolo con Antonio De Martino e Rosario Rolletta, anche lui collaboratore di giustizia. E’ in seguito alla rottura con i De Micco che Mammoliti inizia a muovere i primi passi negli ambienti criminali, al soldo di D’Ambrosio, facendogli anche da scorta quando si recava a firmare in quanto temeva un agguato da parte degli ex alleati. Mammoliti è anche il nipote dei fratelli Salvatore e Bruno Solla, entrambi convinti sostenitori del clan De Luca Bossa e per questo motivo sono stati uccisi in un agguato di camorra, seppure in due momenti storici diversi, per perseguire la medesima finalità da parte del clan de Micco: riaffermare e rilanciare la supremazia territoriale.
Mammoliti è poi diventato un fedelissimo dei De Luca Bossa, come dimostra il fatto che lo stesso clan abbia provveduto al suo mantenimento in carcere: “All’inizio era Righetto Giuseppe, detto Pepp ‘o blob, che si occupava di mantenere sia me che il D’Ambrosio facendoci pervenire 500 euro ciascuno al mese. Poi io percepivo anche una quota dalle piazze di droga di Caravita.“
Il collaboratore, tra le tante cose, riferisce un episodio avvenuto in carcere tra alcune figure apicali dei due clan perennemente in conflitto a Ponticelli, i De Micco e i De Luca Bossa, e che ben spiega il livore che anima le ostilità e che proietta l’eterna faida di Ponticelli ben oltre le logiche riconducibile agli interessi economici, legati al controllo degli affari illeciti: “Marco De Micco era in partenza e dalla saletta stava parlando, attraverso la finestra, con il fratello dello “stilista “, quello che hanno arrestato insieme a lui per omicidio, e Pietro Frutto. Io e Minichini eravamo affacciati. Marco De Micco ha iniziato a istigare Alfredo Minichini e sono volate parole. Hanno litigato. Poi è intervenuto Luigi Austero e anche Mario Sorrentino, che era con noi, che ci voleva far desistere dalla discussione per paura di ritorsioni alla famiglia fuori del carcere. Anche io ho partecipato alla discussione. Poi dopo che si è allontanato De Micco, ho continuato a litigare con Francesco De Martino che mi ha detto che mi avrebbe ammassato. Io gli ho risposto che lo avrei aspettato a Caravita.”
E’ opportuno ricordare che Salvatore De Micco, fratello del boss Marco, è accusato dell’omicidio di Antonio Minichini, fratellastro di Alfredo, ucciso all’età di 19 anni in un agguato di camorra, insieme a Gennaro Castaldi, affiliato al clan D’Amico. Inoltre, quella lite è avvenuta in seguito all’arresto di Marco De Micco e di altri affiliati accusati dell’omicidio di Carmine D’Onofrio, 23enne figlio naturale di Giuseppe De Luca Bossa e pertanto cugino dei Minichini.
Mammoliti aggiunge un altro prezioso tassello al suo racconto: tra il 2021 e il 2022, diversi affiliati al clan De Martino, si recarono presso l’abitazione di sua moglie chiedendole diecimila euro, estendendo la stessa richiesta al marito di sua suocera, a capo di una piazza di spaccio nel comune di Cercola, altrimenti avrebbero dovuto lasciare l’alloggio popolare in cui vivevano a Caravita, frazione di Cercola.
La questione fu risolta, o meglio sospesa fino alla scarcerazione di Mammoliti, grazie all’intervento mediatore di Gesualdo Sartori: “Stabilirono che qualsiasi questione doveva essere rinviata al momento della mia scarcerazione e che la mia famiglia, nel frattempo doveva essere lasciata in pace.”
L’ennesimo tassello che concorre a far luce sul ruolo cruciale ricoperto da Gesualdo Sartori, figura apicale del clan D’Amico, alleati dei Mazzarella, ben oltre i confini di San Giovanni a Teduccio. La figura di Sartori appare in alcune delle situazioni più concitate che hanno minato i rapporti tra i clan di Ponticelli negli ultimi anni, rivelandosi capace di sedare gli animi per privilegiare gli affari.