Troppo schiaccianti le prove raccolte dalla Squadra Mobile di Napoli e che lo scorso 4 aprile hanno fatto scattare le manette per il boss di Ponticelli Marco De Micco e per Giovanni Palumbo, Ciro Ricci, Giuseppe Russo, Ferdinando Viscovo, accusati a vario titolo di aver partecipato all’omicidio del 23enne Carmine D’Onofrio, figlio di Giuseppe De Luca Bossa. Il riesame ha convalidato i fermi. Il boss Marco De Micco e gli altri affiliati all’omonimo clan restano in carcere.
Le indagini condotte in tempi record, avviate immediatamente, dopo l’omicidio avvenuto lo scorso 6 ottobre, nell’arco di sei mesi hanno ricostruito le fasi salienti dell’agguato, oltre allo scenario nell’ambito del quale il boss Marco De Micco, tornato in libertà a marzo del 2021, ha ordinato l’assassinio del 23enne, reo di essere stato identificato come l’attentatore che il 28 settembre scorso aveva piazzato un ordigno artigianale proprio nei pressi dell’abitazione del boss di Ponticelli.
Nei giorni successivi a quell’attentato, vissuto come un colpo all’orgoglio del clan, soprattutto perchè i figli del boss hanno rischiato di avere la peggio, inconsapevoli di essere intercettati, Marco De Micco e i suoi fedelissimi, hanno pestato e interrogato Giovanni Mignano, giovane contiguo al clan De Luca Bossa. E’ stato proprio Mignano a fare il nome di Carmine D’Onofrio, indicando il figlio illegittimo di Giuseppe De Luca Bossa come l’autore dell’attentato ordito per minare la supremazia del clan in netta ascesa in quel momento storico. E’ stato l’amico di cui il 23enne si fidava di più a gettarlo in pasto ai suoi assassini. Un agguato pianificato nell’arco di una settimana e ricostruito meticolosamente dagli investigatori.
Le motivazioni presentate dai difensori di Marco De Micco e degli altri destinatari del provvedimento che dal 4 aprile trattengono in carcere il boss ed altri 4 giovani ragazzi, tutti di Ponticelli, non hanno convinto i giudici. Un segnale importante che affievolisce le velleità del clan De Micco, decapitato del suo re.
Marco De Micco resta in carcere e plurimi elementi lasciano presagire che ci resterà per un bel po’.