Una faida tuttora in corso, seppure nel segno di toni più pacati ed azioni meno eclatanti, quella tra i Casella-De Luca Bossa e gli “XX”, sigla identificativa del clan De Martino, nato sui relitti del clan De Micco, alla fine del 2017, con l’intento di preservare il controllo del territorio, conquistato a suon di azioni violente ed efferate, beneficiando dell’importante supporto di Antonio De Martino, spietato e temuto killer della cosca che proprio dal carcere – anche con l’ausilio della madre Carmela Ricci – ha guidato le gesta dei giovani eredi del clan, capeggiati proprio dal più piccolo dei suoi fratelli, l’unico membro della famiglia rimasto a piede libero. Un clan costituito da giovani acerbi, molti dei quali alle prime vere prese con le prime esperienze in ambito malavitoso, altri con un passato segnato da piccoli precedenti: furti, spaccio, rapine, ma incapaci di strutturare un’organizzazione camorristica e di pianificare azioni ed agguati. Un gruppo di soldati dalle folte barbe e dai vistosi tatuaggi, che identificano in quella doppia X il senso di appartenenza a quel credo che ispira le loro gesta e che conferisce un significato solenne alle loro giornate e alle loro vite. “XX” è infatti il soprannome di Antonio De Martino, che nel gergo locale viene indicato come “l’omm’ annascus'”- l’uomo nascosto – ovvero la mente occulta del clan.
A colmare il vuoto di potere generatosi sul versante camorristico, all’indomani del blitz che fece scattare le manette per 23 figure di spicco del clan De Micco, fu il sodalizio camorristico tuttora egemone, costituito da diversi clan di Ponticelli: Minichini-De Luca Bossa- Aprea-Rinaldi. In seguito alla scarcerazione delle 14 persone, ritenute contigue al clan Casella, anche la cosca di via Franciosa è confluita nel parterre delle organizzazioni camorristiche fuse in un’unica alleanza, dietro la sagace regia dell’Alleanza di Secondigliano. Un sodalizio ben radicato sul territorio e che riesce a mantenere il saldo controllo del quartiere, mediante la designazione di un capo-zona in ciascun arsenale d’interesse strategico e che attraverso questo sistema è riuscito a sedare guerre intestine, fino alla ribellione dei De Martino, nata in seguito alla rottura degli accordi relativi alla spartizione dei proventi illeciti e dei sussidi alle famiglie dei detenuti affiliati. Un evento che si concretizza ufficialmente a settembre del 2020, seppure i primi segnali di fibrillazione iniziano a registrarsi pochi mesi prima, nella primavera dello stesso anno.
Il primo sussulto camorristico, avvenne nel cuore del primo lockdown imposto dall’emergenza covid-19: il 30 marzo 2020, poco dopo la mezzanotte, furono esplosi 8 colpi d’arma da fuoco in direzione di uno stabile in via Edoardo Scarpetta, nel cosiddetto “Lotto 10”.
Il 6 maggio, invece, Luigi Ferrante, pregiudicato vicino agli Aprea, viene ferito a colpi di pistola al gluteo da un commando che sfreccia in motorino in via Mastellone a Barra.
Pochi giorni dopo, il 19 maggio, Raffaele Giordano, classe 1967, domiciliato in via Malibran a Ponticelli e ritenuto contiguo al clan Aprea-Cuccaro, va incontro allo stesso destino.
L’escalation di violenza entra sempre più nel vivo con il sopraggiungere dell’estate e l’11 giugno fa registrare un nuovo, determinante episodio: un uomo si reca al Commissariato di Ponticelli per sporgere una denuncia contro diversi esponenti di spicco del clan Casella-De Luca Bossa, indicandoli come gli autori di una violenta aggressione perpetrata ai suoi danni. Un segnale eloquente che fornisce la prova tangibile e concreta della presenza sul territorio delle due famiglie camorristiche, pronte a servirsi delle cattive maniere per rivendicare la propria egemonia e piegare chiunque al rispetto delle regole da loro imposte.
Il 26 luglio, invece, nel Rione Conocal di Ponticelli si verifica un episodio eclatante che richiama l’attenzione dei residenti in zona che, di conseguenza, allertano le forze dell’ordine: urla – soprattutto di donne – e spari, provenienti da via al chiaro di luna. Gli agenti dello Polizia di Stato giunti sul posto, rilevano la presenza di un bossolo calibro 45.
L’11 agosto vengono, invece, esplosi colpi d’arma da fuoco contro un edificio di edilizia popolare in via Eduardo Scarpetta, nel cosiddetto rione Lotto 10.
Una sequenza di spari che il 30 agosto fa registrare un’azione eclatante: “una stesa” rivolta al ras Gennaro Aprea. Ben 9 colpi d’arma da fuoco vengono indirizzati contro l’abitazione dell’elemento di spicco dell’omonimo clan, in via del Flauto Magico, nel parco Conocal .
Le fibrillazioni sono sempre più frequenti e il 16 settembre vengono esplosi, in via Pomponio, colpi d’arma da fuoco contro un’auto parcheggiata, intestata ad un uomo, classe 1995, con precedenti di polizia per reati di spaccio di sostanze stupefacenti.
Nel corso della serata del 23 settembre, in via Molino Salluzzo, si registra uno degli episodi più eclatanti a firma del clan De Luca Bossa. Diversi colpi di pistola vengono indirizzati verso l’abitazione di una donna, finita nel mirino della camorra in seguito ad un banale litigio intercorso tra suo figlio e il figlio di un elemento di spicco del clan. Di tuta la risposta, alla signora venne intimato di versare diverse migliaia di euro nelle casse del clan, se voleva continuare a vivere presso la sua abitazione. Dopo un primo tentativo di occupazione della casa, allorquando la donna, spaventata e temendo per la sua incolumità e per quella di suo figlio, si allontanò dal quartiere per qualche tempo, i ras del clan del Lotto O, quella sera resero ancor più eloquente la richiesta, rimarcandola a suon di spari.
Una sequenza di azioni violente, apparentemente scriteriate e senza logica, ma che, in realtà, ricostruisce il clima di crescente tensione che si registrava nei rioni in balia della camorra, segnato soprattutto da tentativi di infiltrazioni da parte di soggetti ritenuti vicini al clan Mazzarella.
Il sussulto più eclatante che ha concorso a determinare la rottura tra i De Martino e i De Luca Bossa-Casella matura il 1° agosto: il ritorno in libertà di Carmela Ricci, moglie del ras Francesco De Martino e madre di Antonio De Martino, oltre che di Giuseppe – anch’egli detenuto – e di un altro giovane, ritenuto il reggente dell’omonimo clan che da quel momento beneficia del supporto strategico di una “mamma-camorra”.
Una scarcerazione che ha immediatamente sortito delle ripercussioni sul versante camorristico, portando i De Martino ad osteggiare i De Luca Bossa-Casella e concorrendo così a generare una serie di eventi concitati che di fatto si sono poi tradotti nella faida tuttora in corso.
Il primo evento, sintomatico dell’effettiva rottura tra Casella-De Luca Bossa e i cosiddetti “XX” si registra il 26 settembre, quando due giovani vicini al clan De Martino – Fabio Risi e Salvatore Chiapparelli detto “toporecchia” riescono a sfuggire al mirino dei killer del clan rivale, entrati in azione in via Esopo, solo perchè la pistola del sicario si inceppa.
Passano pochi giorni e l’intenzione di colpire i De Martino si concretizza, allorquando il 7 ottobre il giovane Rodolfo Cardone, vicino al clan XX, viene attinto da un colpo d’arma da fuoco in via Fratelli Grimm, nei pressi del Bar Royal, nel Rione Incis.
La risposta del clan “XX” matura il 29 ottobre e porta al ferimento di Luigi Aulisio detto Alì, cognato dei fratelli Casella. Un agguato che infligge un duro colpo all’orgoglio della cosca di via Franciosa che immediatamente risponde al fuoco: il 2 novembre, Rosario Rolletta, elemento di spicco del clan De Martino – poi diventato collaboratore di giustizia – riesce fortunosamente a sopravvivere ad un agguato in via Argine. Proprio all’indomani di quel raid al quale è sopravvissuto miracolosamente, consapevole del fatto che i suoi sodali lo abbiano “venduto” ai Casella, designandolo come l’esecutore materiale dell’agguato perpetrato ai danni di Alì per ristabilire la pace, Rolletta decide di pentirsi per salvarsi la vita. Una decisione maturata al culmine di una notte concitata, animata dalla visita notturna di un commando di fuoco composto dai suoi ex alleati, giunti presso la sua abitazione con il chiaro intento di ucciderlo per consegnare personalmente la sua testa ai Casella e ripristinare così la pace necessaria per tornare a parlare di affari.
Il pentimento di Rolletta ha introdotto un inaspettato colpo di scena che ha sedato gli animi per un breve periodo.
Una calma apparente stroncata, ancora una volta, da un agguato eclatante: nella notte tra l’11 e il 12 marzo viene ferito ad una mano Giuseppe Righetto, fratellastro dei Casella, ritenuto la figura chiave della malavita ponticellese.
Un raid che non passa in sordina e che meno di 48 ore dopo porta all’omicidio di Giulio Fiorentino e al tentato omicidio di Vincenzo di Costanzo, entrambi affiliati al clan De Martino.
Un vortice di violenza che intorno alle 3,30 del 17 marzo fa registrare l’esplosione di un ordigno artigianale in via Crisconio. Poche ore dopo, il pregiudicato Ciro Cotugno, detenuto agli arresti domiciliari, viene ferito in un agguato.
Il 21 marzo vengono tratti in arresto Giuseppe Righetto e Nicola Aulisio – figlio di Luigi – entrambi contigui al clan Casella. Un colpo durissimo che – contestualmente agli arresti avvenuti ad ottobre 2020 che hanno tradotto in carcere le figure- simbolo del clan De Luca Bossa – concorre ad indebolire i clan alleati che si vedono decapitati di una figura cruciale.
Durante il pomeriggio di sabato 17 aprile, in via Serino, nel quartiere Barra, i giovani del clan Aprea, non riuscendo a stanare un rivale intercettato in strada concretizzando un agguato, esplodono diversi colpi in aria, uno dei quali ferisce al piede una giovane donna mentre passeggiava in compagnia del fidanzato.
Un episodio cruciale che introduce una nuova stagione di spari, dettata dalle logiche criminali che si fanno spazio tra le crepe dei clan sui quali stanno già scorrendo i titoli di coda, in quanto è sempre più forte il sentore che sia ormai dietro l’angolo il blitz che tradurrà in carcere gli elementi di spicco delle organizzazioni protagoniste dell’ultima guerra di camorra andata in scena a Ponticelli.