Marco Di Lauro continua ad essere una delle figure camorristiche più chiacchierate, non solo per i tanti misteri legati alla latitanza e alle circostanze in cui le forze dell’ordine sono riusciti a catturarlo, nel più insospettabile dei covi.
Una latitanza durata quasi 14 anni. Marco Di Lauro era solo un ragazzo quando fece perdere le sue tracce nel corso della «notte delle manette» quando mille uomini dello Stato invasero i quartieri Scampia e Secondigliano supportati anche dagli elicotteri ed eseguirono 53 ordinanze per mettere fine alla cosiddetta “faida di Scampia”.
Ricercato anche in campo internazionale, secondo gli inquirenti, Marco Di Lauro nel corso degli anni ha ricompattato e guidato il clan fondato dal padre Paolo Di Lauro detto Ciruzzo ò Milionario. La storia del clan Di Lauro ha ispirato la serie “Gomorra”, nella quale Pietro Savastano e suo figlio Gennaro ripercorrono le tappe salienti che hanno segnato una delle ere camorristiche più sanguinarie della storia di Napoli.
Inserito nell’elenco dei ricercati del Ministero dell’Interno, Marco Di Lauro era il secondo latitante più pericoloso subito dopo Matteo Messina Denaro.
14 anni di latitanza pieni di storie, eventi e leggende. Appassionatissimo di motori, Marco Di Lauro si sarebbe sempre mosso durante la latitanza travestito da donna con tanto di parrucca, in compagnia di altre donne incensurate. Fino al 2011 usciva nel cuore della notte, dalle 3 alle 4. Nel 2015 si è sottoposto a un intervento chirurgico di plastica facciale per cambiare il volto.
Il 25 dicembre 2016 e nel marzo 2017, in due distinti blitz di cui il primo effettuato all’interno di una mansarda dei Camaldoli, e il secondo nel Rione Terzo Mondo, Marco Di Lauro riesce in entrambe le circostanze a sfuggire alla cattura da parte delle forze dell’ordine.
Durante gli anni della latitanza, Marco Di Lauro ha conquistato un posto autorevole tra i personaggi delle “leggende” di Secondigliano, tant’è vero che si susseguono storie, più o meno fantasiose, sul suo conto: dal corteo di automobili blindate lungo il corso di Secondigliano, ai travestimenti da donna per andare in giro indisturbato, fino alla “latitanza di lusso” negli Emirati Arabi, ma con l’abitudine di tornare spesso nel quartiere per farsi vedere da amici e nemici. Da vero boss, Marco Di Lauro impara a mimetizzarsi con discrezione per diventare invisibile alle forze dell’ordine, senza mai smettere di far sentire la sua presenza ai fedelissimi del clan quanto ai nemici.
In realtà, il rampollo della famiglia Di Lauro non ha mai lasciato il quartier generale del clan di famiglia, tant’è vero che viveva in un’abitazione del quartiere Piscinola-Chiaiano in via Emilio Scaglione.
Negli anni, ritengono gli inquirenti, Marco Di Lauro era diventato il riferimento non solo del suo clan, inizialmente confinato nel feudo di via Cupa dell’Arco dopo la prima faida di Scampia, ma anche un elemento di primo piano per il gruppo della Vanella Grassi, i cosiddetti “Girati”, che si erano riavvicinati proprio al clan di Paolo Di Lauro. E così, forti dell’aura leggendaria del boss fantasma, i camorristi di Secondigliano stavano riguadagnando terreno sui nemici, secondo alcuni preparando il colpo in grande stile per scacciare definitivamente gli Scissionisti dal quartiere.
Un idillio criminale brutalmente stroncato da un episodio ben preciso.
Sabato 2 marzo 2019: una data cruciale nella storia del clan Di Lauro, è il giorno in cui lo Stato mette fine alla latitanza di Marco.
La sorte del rampollo di casa Di Lauro è segnata da un femminicidio. Una trama in perfetto stile “Gomorra”.
La soffiata che porta alla cattura di Marco è opera del fedelissimo del clan Di Lauro Salvatore Tamburrino che dopo aver ucciso a sangue freddo la moglie, Norina Matuozzo, nella casa dei genitori in cui si era trasferita per chiudere i ponti con la sua storia matrimoniale, si consegna agli inquirenti ed è in quel frangente che avviene tutto. Quelle che si alternano dal momento dell’omicidio di Norina alla cattura di Marco Di Lauro sono sequenze rapide e concitate. Marco Di Lauro era proprio lì dove Tamburrino aveva indicato che si nascondesse: in un appartamento al civico 424 di via Emilio Scaglione.
«Avevo ucciso mia moglie, mi resi subito conto di aver commesso una cosa ignobile, mi affidai al mio avvocato per consegnarmi alle forze dell’ordine. Fui prelevato dalla polizia di corso Secondigliano, consegnai la mia pistola, fui portato in Questura. Nell’ascensore, ad alcuni poliziotti, confidai loro il luogo dove si trovava Marco Di Lauro. Volevo, grazie a questa informazione, ottenere la disponibilità di poter riabbracciare un’ultima volta i miei figli. È stato quindi un moto immediato e spontaneo». Queste le dichiarazioni contenute nei verbali firmati dal collaboratore di giustizia Salvatore Tamburrino che ha svelato anche in che modo venivano gestiti i contatti tra Marco Di Lauro e i suoi uomini. Sul libro contabile del clan veniva indicato con la sigla F4, il quarto figlio del boss Paolo Di Lauro e per comunicare con il superlatitante venivano usati dei «telefoni di plastica come dei citofoni», distrutti subito dopo l’uso. Le brevi comunicazioni venivano stabilite ad un orario concordato, una volta ogni venti giorni, salvo situazioni di particolare emergenza.
Rinviato a giudizio per l’omicidio della vittima innocente della criminalità Attilio Romanò, perchè stimato essere il mandante di quell’agguato, Marco Di Lauro è accusato di reati associativi. Legato sentimentalmente a Cira Marino, vicina al clan Tamarisco di Torre Annunziata che ne avrebbe favorito la latitanza,nel corso della quale avrebbe intrattenuto rapporti di affari – prettamente incentrati sul traffico di droga – con la ‘Ndrangheta, in particolare con la ‘Ndrina dei Pelle-Vottari.