Una notizia di cui si sono occupati tutti i media nazionali, quella emersa a seguito delle indagini che hanno smascherato il traffico internazionale di droga che vedeva coinvolte alcune figure di spicco della malavita di Ponticelli e San Giovanni a Teduccio, giunte in Colombia e in Olanda per acquistare la merce con la quale rifornire le piazze che gestivano a Napoli est.
Un’organizzazione ricostruita da cima a fondo dagli inquirenti che hanno condotto le indagini dalle quali sono scaturiti i 17 arresti lo scorso 20 febbraio.
28 persone indagate, 7 a piede libero e per le quali il gip ha rigettato l’ordinanza cautelare, 17 persone finite in manette tra capi dell’organizzazione e corrieri che portavano in Italia fiumi di droga provenienti dal Sudamerica e dall’Olanda. Sono tutti personaggi legati ai clan Rinaldi e Formicola di San Giovanni a Teduccio, ai De Micco di Ponticelli e agli Amato-Pagano di Melito. Difatti, dalle indagini è emersa un’alleanza tra i clan di Napoli Nord e quelli di Napoli est per assicurarsi la migliore merce con la quale rifornire le piazze di droga.
Il 53enne latitante Gustavo Nocella sarebbe l’intermediario e promotore dei traffici del Sudamerica, sul cui ruolo hanno contribuito a far luce le intercettazioni telefoniche.
A capo dell’organizzazione figurano Pasquale Scognamillo detto “Lino Serafino”, 36enne di San Giorgio a Cremano, ma adottato dal vicino quartiere Ponticelli, complice la parentela acquisita con il clan De Micco; Daniele De Matteo, 35enne ritenuto vicino ad un piccolo nucleo di trafficanti con base in via Ferrante Imparato a San Giovanni a Teduccio; Gaetano Teatro, 34enne di Secondigliano, nipote di Luigi Teatro consuocero del boss Raffaele Amato detto a’ vicchiarella. Secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbero loro i tre esponenti dei rispettivi clan di appartenenza che hanno sancito il patto per lo spaccio tra l’area a Nord di Napoli e Napoli Est.
Gustavo Nocella è ritenuto l’«intermediario nei traffici con il Sudamerica» mentre Ciro de Cesare sarebbe il «collaboratore diretto dei promotori, gestendo la contabilità dell’organizzazione». A procacciare nuovi clienti e a occuparsi del trasporto dello stupefacente, era Walter Busiello, fino all’8 aprile 2016, giorno in cui fu arrestato insieme alla moglie, addetta al conteggio del denaro ricavato dallo smercio ella sostanza stupefacente. Nelle piazze di Ponticelli avrebbero agito, secondo la ricostruzione degli inquirenti, Ciro Scognamillo detto Bombò, Pasquale Scognamillo detto “Lino ’o serafino” e Clotilde De Martino, la madre dei fratelli Scognamillo. Un business a conduzione familiare, dunque, quello capeggiato dagli Scognamillo.
La droga una volta arrivata in Italia veniva smerciata nelle piazze del Basso Lazio e della Toscana da Walter Busiello e dalla moglie Antonietta Scarpa. I due fingendo di essere una famiglia in vacanza, facevano le consegne, un modus operandi utilizzato da molte figure contigue alle piazze di spaccio napoletane in trasferta nelle località balneari da rifornire nel periodo estivo. Il ruolo di contabile dell’organizzazione era di Ciro De Cesare. Altra base dell’organizzazione si trovava nel rione Baronessa, in via Raffaele Testa, zona di competenza dei Marigliano, da tempo alleati del clan Rinaldi di San Giovanni a Teduccio.
“Bombò” è un soprannome diffuso a Ponticelli, generalmente utilizzato per indicare persone che fanno uso di stupefacenti, in particolare di spinelli, nel gergo di strada denominati “bomboloni”, oppure una persona particolarmente in carne, proprio per sottolinearne le rotondità.
Ciro “Bombò” Scognamiglio è uno dei volti più noti di Ponticelli, oltre che uno dei profili social più attivi tra le reclute della mala locale. Su facebook, in particolare, “Bonbò” condivide ampi scampoli della sua quotidianità. Dal viaggio a Dubai pochi giorni prima dell’arresto, in compagnia dell’amico e complice Daniele De Matteo, agli scatti che raccontano la vita insieme a sua moglie, la 32enne Capozzi Giuseppina, il cui nome figura nell’elenco degli indagati insieme a quelli di De Crescenzo Veronica, Napoli 38anni; De Martino Clotilde, Napoli 56 anni; Emmauso Claudio, Napoli, 56 anni; Menna Antonio, Napoli,36 anni; Tavano Pasquale, Napoli, 53 anni; Teatro Luigi, Napoli 55 anni.
26 anni compiuti lo scorso 6 gennaio e le idee ben chiare sui principi dai quali lasciarsi ispirare,come comprova il post che lo scorso novembre “Bombò” ha dedicato a Totò Riina poche ore dopo la morte del boss di Cosa Nostra: “Che sei morto mi dispiace perchè la morte nemmeno al peggiore dei nemici si può augurare. – si legge nella frase che affianca una foto di Riina – Di tutte le cattiverie che hai fatto io penso che oggi le persone che hai fatto piangere stanno festeggiando ed è pure giusto perché ne hai fatte troppe di cattiverie un sacco di cose potevano essere evitate . Però devo riconosce una cosa di che veramente hai dimostrato a tutti sti pezzi di merda dei pentiti che si fanno un giorno di carcere e si cantano pure i figli sei un grande hai dimostrato veramente che tutti gli errori che hai fatto li hai pagato riposa in pace zio Totò.”
Lo scorso gennaio aveva pubblicato una foto in cui presumibilmente mostrava uno spinello, tant’è vero che un utente commenta: “E’ gas fratm’ Gerò Amsterdam t stai cunzulan” ovvero “E’ gas – slang utilizzato nel gergo locale per sottolineare le proprietà allucinogene degli stupefacenti – Amsterdam ti stai consolando”. La foto potrebbe essere stata scattata da “Bombò” proprio durante uno dei tanti viaggi nella capitale dei Paesi Bassi per rifornirsi degli stupefacenti da rivendere nelle piazze di droga di Napoli Est. Pochi giorni dopo l’arresto, la foto è stata rimossa.
A Ponticelli moltissime persone difendono a spada tratta i “fratelli Bombò“, descrivendoli come “dei bravi ragazzi benvoluti e rispettosi che non hanno fatto niente di male“: hanno agito spinti dalla necessità e dalla precarietà alla quale la vita ti costringe, specialmente se nasci in certi contesti, in certe famiglie e senza altre alternative alla vita di strada. Il dito andrebbe puntato, contro “lo Stato assente” e non contro “una brava famiglia che ha spacciato “un po’ di droga” per comprarsi un pezzo di pane. Questo il grido d’indignazione che forte s’innalza dalle strade tra le quali i “Bodo” – questo il soprannome del clan De Micco – hanno costruito un sodalizio criminale che seppur sensibilmente rimaneggiato dai 23 arresti dello scorso novembre, sembra non volerne sapere di cedere il posto al “nuovo” che avanza.