La storia di Giuseppe, il giovane barese ucciso per errore l’11 marzo de 2000, all’interno di un circolo ricreativo, è simile a quella di tanti altri giovani, napoletani e non, estranei alle dinamiche criminali e non, che hanno perso la vita solo perché in quel momento si trovavano in un luogo di svago e di ritrovo per ragazzi, come un circolo ricreativo.
Un boss era stato scarcerato da pochi giorni: per lui il pm aveva chiesto 20 anni di carcere. E invece era uscito di cella per decorrenza dei termini della custodia cautelare, insieme ad altri affiliati al clan. Antonio Abbaticchio, 38 anni, boss emergente del Rione Libertà, si ritrova a lottare tra la vita e la morte nel reparto di Rianimazione del Policlinico: era lui il vero obiettivo dei killer che hanno fatto fuoco all’impazzata nella sezione di un movimento politico, il Gruppo indipendente Libertà.
Volevano ammazzare il boss, hanno colpito e ucciso un incensurato, colpevole di trovarsi nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. Altre due persone, oltre al boss, sono rimaste ferite: sono tutte in gravissime condizioni. La vittima è Giuseppe Grandolfo, 38 anni, incensurato.
I feriti sono Francesco Signorile, 28 anni ed Emanuele Amoruso, 67 anni. L’agguato è avvenuto in via Libertà, una strada che dà il nome all’omonimo quartiere, zona popolare e popolosa nei pressi del centro cittadino e, soprattutto, del palazzo di giustizia. Un’azione da commando, durata una manciata di secondi. I killer erano due: poco dopo le 23 hanno aperto la porta del locale all’interno del quale un gruppo di persone giocava a carte e guardava la televisione. Poi hanno aperto il fuoco nel mucchio con pistole cal.9. Grandolfo è stato raggiunto alla testa: è morto sul colpo. I proiettili hanno poi colpito gli altri tre. I killer sono fuggiti.
Volevano la strage e per abbattere i loro bersagli non hanno esitato a sparare all’ impazzata nel mucchio ammazzando un innocente e ferendo due pregiudicati e un pensionato.
I due pregiudicati e il boss stavano giocando a carte con Giuseppe, quando i killer hanno fatto irruzione nel circolo ricreativo.
La polizia non ha trovato alcun testimone in grado di ricostruire le modalità dell’esecuzione.
E non è tutto.
Maria Milella, 34 anni, vedova di Giuseppe Grandolfo, madre di due bambini ha dovuto patire le e ne derivanti anche da un altro calvario.
In rima battuta, i fondi destinati ai familiari delle vittime innocenti della criminalità furono inviati ad un’altra donna. Al ministero dell’Interno si erano sbagliati. Un errore imbarazzante dovuto ad un’omonimia.
Un errore che deriva dal fatto che Maria fa Milella di cognome ma è vedova Grandolfo. Invece la vera destinataria di quell’indennizzo è Maria Grandolfo di nascita. I poliziotti della questura di Bari hanno bussato a casa di Maria Milella, a Modugno.
La donna aveva spiccato salti di gioia. Credeva di aver finito di fare la baby sitter per poter comprare da mangiare ai suoi bambini, Vanessa di 7 anni e Vito di 11. Anche perché il riconoscimento di vittima di mafia dà diritto ad un posto di lavoro nella pubblica amministrazione. Invece niente.
«Suo marito ha avuto un incidente, ma non è grave» le rispose un poliziotto al telefono alle 22 e 15 di quella sera. Ma Giuseppe era già morto, raggiunto da proiettile alla testa.
Maria lo seppe pochi minuti dopo da Telenorba: “Ennesimo omicidio a Bari”. Suo figlio Vito sentì tutto e iniziò a gridare. Giuseppe era andato a prendere accordi con il ristorante dove il 13 maggio avrebbe dovuto festeggiare la prima comunione del figlio. Prenotato il locale, telefonò alla moglie per dirle che avrebbe preso la pizza. «In pizzeria incontrò un suo amico che lo portò a bere una birra in un locale e qui fu coinvolto in una sparatoria mortale» racconta tutto d’un fiato la signora Milella.
Da allora Maria Milella non ha visto una lira e neppure solidarietà dallo Stato.