Si spara, a Napoli. Di notte e di giorno.
Si spara per “fare paura”, quando la pistola si punta verso il cielo, per squarciare il silenzio della notte e disseminare desolante inquietudine.
Si spara per uccidere “i cattivi”, ma se ci finisce di mezzo “un buono” non è un problema. Né per la camorra né per nessun cultore di quel credo.
Si spara soprattutto nella periferia Nord di Napoli. Dopo un periodo di calma – probabilmente – apparente, la “terra di Gomorra” torna a vivere scene ed eventi assai simili a quelli che hanno contraddistinto la “faida di Scampia”.
La necessità, il bisogno, il desiderio di replicare all’urlo dei “cattivi” con la voce altresì vibrante dei “buoni”, ieri sera, 1 ottobre, ha animato una delle notti più vive e suggestive andate in scena tra le strade della periferia di Napoli.
“Scampia Tammorra, No Gomorra”: questo il leitmotiv dell’evento ideato e organizzato dall’associazione Ciro Vive, capeggiata da Antonella Leardi, la madre del tifoso napoletano morto durante “i fatti di Roma”, avvenuti nel maggio del 2014, nei pressi dello stadio capitolino, prima della partita di calcio valevole per la designazione della Coppa Italia tra Napoli e Fiorentina.
Il calcio: uno sport, una passione, in nome della quale, Ciro Esposito, 30enne tifoso del Napoli, era partito dal suo quartiere d’origine, Scampia, alla volta dello stadio Olimpico di Roma per assistere a una partita e sostenere la sua squadra del cuore, com’era solito fare tutte le volte che gli azzurri giocavano lontano dalle mura amiche del San Paolo.
Una morte che ha scritto la pagina più triste della storia calcistica italiana, dalla quale, però, per merito della forza e dell’amore che battono nel petto di mamma Antonella, ha saputo tramutarsi in una nuova forma di vita.
Quella che genera ottimismo, amore, solidarietà, generosità, sorrisi, speranza, energia positiva: i colori, i suoni, gli odori e le suggestioni che hanno animato la serata di ieri lo comprovano.
Lo sostiene con orgoglio l’assessore alle politiche giovanili del comune di Napoli, Alessandra Clemente che ha preso parte all’iniziativa: “il rumore delle tammorre, della bellezza e del bene è più forte della violenza e della camorra”, lo sottolineano con i toni ancor più marcati peculiari e distintivi della spensieratezza partecipata, le tammorre e le danze popolari che si intrecciano e si alternano, capitanate dal brioso estro del “maestro” Marcello Colasurdo.
L’associazione Ciro Vive ha portato in strada, lungo quelle stesse strade che, di sera, accolgono spari, morte, sangue e cinica ed anaffettiva criminalità, una delle repliche più sonore e fragorose riconducibili all’essenza più genuina della legalità. Quella che fa, senza pretendere di ottenere un tornaconto personale né per pavoneggiarsi sotto le luci dei riflettori o per vedersi bardare il petto con una medaglia al valore: la vera legalità è quella che fa per appagare il semplice desiderio di apportare un valido contributo alla causa dei “buoni”, per riscattare quella terra che, nonostante le innumerevoli privazioni e torture, continua a riconoscere come “sua” e, pertanto, cercare di liberarla dalle angherie della violenza e della criminalità, risulta un atto dovuto, irrinunciabile, necessario.
L’evento che non solo Scampia, ma tutte le periferie che imperversano nella stessa critica situazione, si sono lasciate alle spalle, ha anche il merito di aver rilanciato l’impellente necessità di liberare quei territori dalla pesante etichetta derivante da talune rappresentazioni cinematografiche che hanno enfatizzato i toni della camorra, falsando la reale e più attendibile percezione di quegli stessi luoghi.
“Ciro Vive” non è solo un’associazione, un libro, un effigie, una t-shirt, un murales, una sciarpa, ma un sentimento dal quale seguita a nascere la tangibile speranza di un futuro migliore, fatto da più tammorre e meno “Gomorra”.