Un articolo del celeberrimo esperto in materia di cibo, Luciano Pignataro, ha suscitato non poco scalpore, surriscaldando ulteriormente il di per sé rovente clima di ferragosto. Al centro delle polemiche è finita, infatti, un’intervista ad Alessandro Condurro, erede della storica famiglia Condurro della pizzeria da Michele. Condurro ha manifestato senza indugi la sua insofferenza verso la “pizza new style”, affermando che ultimamente si sta esagerando un po’ troppo e la pizza sta diventando un vero e proprio business, perdendo la sua scarna e semplicistica fama di “cibo dei poveri”. Inoltre, Condurro punta il dito contro i cultori di quel modo di “fare la pizza”, anche per quanto concerne la tematica dell’impasto: a suo dire, una cosa così semplice sta diventando, per mano di pseudo-maestri pizzaioli, un alimento complesso e difficile da preparare, se si considerano idratazione, maculatura, maturazione. Le reazioni dei maestri pizzaioli, promotori ed ideatori del nuovo modo di concepire la pizza, non sono tardate ad arrivare. Errico Porzio, divenuto ormai celebre come “il pizzaiolo social”, ci tiene a dire la sua, con la schiettezza di sempre e senza indugi: “Ho iniziato ad imparare il mio lavoro presso la mia famiglia, una di quelle storiche della scena napoletana: i Pellone. Ebbene, questo, per me, non ha significato limitarmi o non avere ambizioni in termini di crescita, seppure Pellone sia una pietra miliare della storia della pizza, ho preferito aggiornarmi, fare corsi di panificazione e sui vari metodi di lievitazione. Non metto assolutamente in discussione la tradizione, ma gli storici pizzaioli, allo stesso modo, non possono mettere in discussione i cambiamenti apportati nel mondo pizza, in quanto i fatti, i numeri dimostrano che è stato un cambiamento in positivo. Lo stesso Condurro – continua Porzio – nel corso di quell’intervista cita numerosi pizzaioli storici, i quali mai, ribadisco, mai, risultano essere presenti in classifiche di gradimento, ma vivono di una gloria che deriva dalla notorietà del loro nome, soltanto per un fattore di storicità. Addirittura, stando a quanto emerso da un’ultima recentissima classifica, le pizzerie del lungomare risultano offrire un prodotto abbastanza mediocre. La gente sta iniziando a capire che la pizza non va più mangiata nei luoghi storici o in location con vista mozzafiato, ma in ogni angolo della città, in periferia, in provincia, in mare, in montagna, tant’è vero che le pizzerie più gettonate degli ultimi tempi si trovano in provincia di Caserta e nelle periferie di Napoli. Ai pizzaioli storici nessuno toglierà il merito di aver contribuito alla diffusione della pizza napoletana, ma è bene prendere atto del fatto che la storia della pizza sta cambiando. Ci tengo a chiarire che nella mia pizzeria ho una carta degli impasti, che mi porta a rispettare sia la tradizione, con impasti indicati dal disciplinare, ma anche impasti con forme alternative di lievitazione: lievito madre, birra, anche a lunghissima lievitazione e posso confermare che i più gettonati sono proprio questi ultimi. Inoltre, – aggiunge Porzio – più di una volta Condurro tira in ballo Marco Lungo, consulente tecnico di Molini e quindi i pizzaioli, dandosi la zappa sui piedi. Perché Marco Lungo è la persona con la quale ho fatto un master e che in un certo senso ha cambiato il mio modo di fare pizza. Marco infatti è un grande sostenitore della biga (prefermento che sostituisce il lievito che dona agli impasti e quindi alla pizza maggiore digeribilità profumo e fragranza) e che ovviamente non è nemmeno preso in considerazione dalla tradizione e dal disciplinare. Per non parlare, poi, dei condimenti che Condurro ritiene quasi insignificanti per la pizza. È innegabile che un conto è fare la pizza con ingredienti semplici e una cosa è condirla con ingredienti top, quali: un fior di latte d’Agerola, un pomodoro san Marzano, olio extravergine dop.” Insomma, il braccio di ferro tra tradizione e innovazione, sembra destinato a tenere banco ancora per un bel po’ di tempo.