Che si chiami camorra, mafia o ‘ndrangheta, cambia la forma della criminalità organizzata, ma non la sostanza che, invece, si rivela un puntuale sinonimo di morte, devastazione, malaffare, delinquenza, violenza, orrore, inumanità, disumanità.
La cattura di un latitante è una notizia che viene puntualmente accolta con festosa esultanza da parte della parte sana dello Stato.
Quest’oggi, dopo vent’anni, è finita la latitanza del boss Ernesto Fazzalari, il latitante più ricercato d’Italia dopo Matteo Messina Denaro.
La notizia è stata annunciata sui social dal premier Matteo Renzi prima ancora che dai carabinieri. Boss dell’omonimo clan di ‘ndrangheta, radicato tra Taurianova, Amato e San Martino di Taurianova nella Piana di Gioia Tauro, Fazzalari, 46 anni, è stato sorpreso ieri notte in un caseggiato nelle campagne di Molochio, sull’Aspromonte, non lontano dal suo feudo. A stringergli le manette ai polsi sono stati i Carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, insieme ai militari del Gruppo Intervento Speciale e dello Squadrone Cacciatori Calabria.
Sorpreso dall’irruzione, Fazzalari non ha opposto resistenza, ha dichiarato le proprie generalità e si è fatto ammanettare. Insieme a lui è stata arrestata una donna di 41 anni, accusata di procurata inosservanza di pena, concorso in detenzione di arma comune da sparo e ricettazione. Nel casolare, i carabinieri hanno infatti trovato una pistola con matricola abrasa, ma anche altro materiale ritenuto di interesse e suscettibile di ulteriori approfondimenti investigativi.
Accusato di associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, porto e detenzione illegale di armi ed altri reati, il giovane boss si è dato alla latitanza nel 1996, quando i pm di Reggio Calabria ne hanno chiesto l’arresto nell’ambito dell’operazione Taurus, che ha fatto luce sulla faida di Taurianova fra gli Asciutto-Neri-Grimaldi e Fazzalari –Crea- Viola.
Lo scontro fra i due storici clan della zona, che ha tenuto banco tra le mura del paesino della piana di Gioia Tauro per più di tre anni agli inizi degli anni ’90, è balzato agli onori della cronaca per l’efferatezza delle esecuzioni. Al capo dei Grimaldi, ucciso insieme al fratello, fu mozzata la testa, quindi lanciata per aria e presa a fucilate
Inoltre, il 3 maggio del 91, quello che fu denominato il venerdì nero di Taurianova, ha segnato il punto di non ritorno. Per vendicare la morte del boss Rocco Zagari, in un solo giorno vengono trucidate quattro persone. Il primo è il ventinovenne Pasquale Sorrento, falciato da diciannove colpi di lupara, l’ultimo il trentaseienne Rocco La Ficara. In mezzo, c’è il duplice omicidio dei fratelli Giovanni e Giuseppe Grimaldi, uno dei più brutali che la ‘ndrangheta abbia mai firmato. I due sono stati raggiunti in pieno giorno, di fronte all’ufficio postale del paese, di fronte a una ventina di persone. Giovanni è morto subito. Giuseppe ha tentato invano di difendersi. Uno sgarbo cui i sicari hanno risposto decapitandolo con il suo stesso coltello. La sua testa – hanno raccontato all’epoca i presenti – è stata lanciata in aria da uno dei killer come una palla di pezza, mentre l’altro ha preso la mira ed ha sparato. Per gli inquirenti, a firmare quel brutale omicidio è stato proprio Ernesto Fazzalari. Un’accusa che non ha retto alla prova del giudizio Taurus, che tuttavia è costato al giovane boss una condanna definitiva all’ergastolo per due omicidi e due tentati omicidi.
Era uno “che sparava come un pazzo” dicono di lui i collaboratori di giustizia, che ricordano con terrore la fredda precisione di quel mancino di poco più di vent’anni, divenuto rapidamente il sicario di riferimento del suo clan.
Nonostante la latitanza, il boss non ha mai perso il suo potere. E proprio la sua lunga latitanza, in una terra in cui la presenza della ‘ndrangheta è notoriamente comprnetrata, Fazzalari rende palpabile l’estensione e lo spessore del suo potere.
Una cattura importante quella del boss che concorre a ristabilire la sovranità dello Stato in un territorio che i latitanti hanno strappato allo Stato.