Il giudice per le indagini preliminari di Napoli, Nicola Quatrano, ha condannato 43 persone su 52 accusate di far parte della cosiddetta “Paranza dei bimbi”, il clan di giovanissimi baby-boss di Forcella, protagonista di una delle faide più sanguinarie maturata tra le mura del centro storico cittadino.
Una sentenza storica, perché “ufficializza” l’esistenza del cartello criminale formato dagli eredi del clan Giuliano e dalle nuove leve del gruppo Sibillo che hanno dichiarato guerra ai Buonerba-Mazzarella per il controllo delle piazze di spaccio del centro storico.
Per l’omicidio di Maurizio Lutricuso, il ragazzo giustiziato per una sigaretta negata davanti a una discoteca, Vincenzo Costagliola è stato condannato a venti anni, mentre il pm aveva chiesto l’ergastolo.
Vincenzo Costagliola classe 1991, il 9 febbraio 2014 nel parcheggio del Privat1, una discoteca di Agnano, ha ucciso un ragazzo di 24 anni “per gioco”, come lui stesso racconta agli altri membri della paranza.
Dopo alcune scintille tra due gruppi di ragazzi, Maurizio Lutricuso fu attirato all’esterno e con la scusa di una sigaretta negata, fu aggredito dai killer: contro di lui furono esplosi diversi colpi di pistola che lo ferirono mortalmente all’addome e al torace. A nulla valse l’intervento degli uomini della sicurezza del locale: il ragazzo morì poco dopo all’ospedale San Paolo di Fuorigrotta.
“L’ho schiattato, l’ho ucciso. Sette botte. Ti è piaciuto? Ma davvero stai facendo? Quando è venuto sotto a me, ha chiavato un pacchero, è partito direttamente con il pacchero. L’ho sfondato, poi mi ha pigliato il compagno e mi ha alzato per aria. Ma che me ne fotte di questa storia, ordiniamo due saltimbocca”: non sapeva di essere intercettato Vincenzo, mentre raccontava quei momenti di inverosimile violenza.
Vincenzo, un ventenne con le idee chiare, vuole fare il camorrista e minaccia Maria, la sua fidanzata, appena 18enne, che sogna una vita migliore per lei e per suo figlio.
“La storia di Maria” è il titolo di una celebre canzone di Franco Ricciardi e Ivan Granatino, in questo caso è la sintesi di una vicenda estrapolata dalla vita reale che racconta il coraggio di una 18enne qualunque, capace, però, di opporsi a quel destino che troppe volte sembra segnare in maniera irreversibile quelle vite che per errore o per amore, rimangono imbrigliate nelle trame della camorra.
Maria ha subito plurime minacce: inseguimenti, messaggi minatori su Facebook e tramite sms. E poi c’era quella pistola, mostrata ed esibita per “fare paura”, incutere timore, imporre silenzio e rivendicare rispetto.
Però, Maria non cede, non è quella la vita che vuole per lei, va in Questura e, per l’ennesima volta, denuncia Vincenzo per minacce. Chiede aiuto alla polizia e ai magistrati: «Chiedo a codesta autorità giudiziaria di poter vivere una vita serena e di poter scendere da casa senza avere paura di chi incontro o di chi mi aspetti all’angolo, voglio crescere mio figlio senza timore ed insegnargli i veri valori della vita e non quelli del padre. Chiedo di non vedere più la sua faccia e quella dei suoi amici pregiudicati. Chiedo un aiuto in tal senso senza complicare la vita di mia madre e di parenti a me cari e soprattutto vicini per queste vicende. Ho solo 18 anni e voglio essere libera di avere amicizie al di fuori di quelle vecchie, perché so che quelle che ho non porteranno a niente di buono».
Il 24enne Maurizio Lutricuso il 10 febbraio 2014, non ha la possibilità di scegliere, la morte gli rovina adesso, in un luogo e in un momento tutt’altro che confacenti a un agguato di camorra.
Ucciso perché si era rifiutato di offrire una sigaretta.
Vincenzo Lutricuso quel “pezzo”, quell’omicidio sintomatico della rabbia reattiva ed incontrollabile peculiare dei baby-boss emergenti, lo racconta bene ai suoi amici. Frasi ricche di esaltazione che manifestano la totale assenza di una qualsiasi forma di contatto con la realtà.
Troppo odio, troppa adrenalina ringalluzzita da follia omicida, troppo desiderio di primeggiare, o meglio, di “comandare” tutto e tutti, la percezione di disporre della vita di chiunque come meglio si ritiene, in un escalation di delirante prepotenza che rende l’indole anaffettiva e che trova nell’uso spasmodico di alcol e droga un elemento utile a “pompare” quel pericoloso cocktail a base di sete di violenza e desiderio di “riscatto”, tristemente distorto dall’assenza di un modello in grado di osteggiare quello che, invece, inneggia alla criminalità e alla delinquenza.
In verità, in diversi frangenti è emersa la condotta “anomala” di membri riconducibili alla “paranza dei bimbi” tra le piste da ballo più quotate della Napoli by night. Tanti avventori prima, durante e dopo l’omicidio di Maurizio, hanno raccontato scene di analoga “guapparia”.
Incapaci di svestire i panni dei “baby-boss” anche durante le ore di svago per mimetizzarsi tra i loro coetanei e concedersi delle boccate di potenziale normalità: non sanno divertirsi o, forse, si divertono sparando “botte in petto” a facili ed incolpevoli bersagli. Anche questo è un aspetto che sconcerta e disarma, soprattutto questo.
Di mezzo c’è finito un ragazzo di 24 anni, Maurizio, uno come tanti, uno qualunque, che ha pagato con la vita quell’escalation di eventi originati da una banale scintilla e culminati in un epilogo clamorosamente violento.
La mano che ha sparato quelle “sette botte in petto” spezzando quella giovane vita, dovrà trascorrere 20 anni in carcere. Quando uscirà, Vincenzo sarà un 40enne che si porta un omicidio sul groppone e che vanta un trascorso da affiliato in un clan: quale futuro si prospetta per lui?
Difficile stabilirlo, adesso. Di certo c’è solo che il suo “desiderio di camorra” ha spezzato due vite, ma la giustizia ha fatto in tempo a salvarne altrettante: quella di Maria e del suo bambino.