Il 1600 fu un secolo molto difficile per Napoli, colpita da disastri naturali e continue epidemie che ne ridussero notevolmente la popolazione, mentre ai superstiti non restava che sperare nell’intercessione dei santi.
A partire dall’alba del 16 dicembre 1831, dopo 130 anni di inattività, si verificò una eruzione del Vesuvio, che durò quasi 20 giorni, causando almeno 4.000 morti e circa 44.000 sfollati. La popolazione terrorizzata si affidò alla protezione di San Gennaro che fu portato in processione di fronte alla lava. Si narra che il Santo abbia fermato il fiume di fuoco con il gesto delle tre dita, salvando la città.
Per ringraziare il Santo, i Deputati del Tesoro di San Gennaro decisero di innalzare un obelisco, affidando il lavoro a Cosimo Fanzago, per la struttura e a Giuliano Finelli per la statua in bronzo del Santo.
In quel periodo vi erano in corso dei lavori di demolizione di vecchie strutture nei pressi della Cappella del Tesoro, per fare spazio al campanile del Duomo. Dagli scavi emerse una colonna in marmo cipollino, alta 27 palmi e di diametro 4 palmi. Il cardinale Ascanio Filomarino la offrì per la guglia di San Gennaro, ma sorsero questioni con il municipio per cui il reperto non potè essere utilizzato.
I lavori per l’obelisco iniziarono nel 1637, nel luogo del ritrovamento della colonna, attuale piazza Riario Sforza, un largo del decumano di via Tribunali, subito dopo l’incrocio con via Duomo. La prima fase della costruzione durò fino al 1645, anno in cui risultava compiuta solo la base, senza la statua del personaggio malefico che avrebbe dovuto rappresentare il responsabile della decollatura del Santo. Il ritardo dei lavori fu dovuto a molteplici elementi, tra i quali le maestranze inadeguate, i molti impegni del Fanzago, le liti tra il cardinale e gli abitanti della piazza che temevano il crollo della struttura in caso di terremoto.
I lavori ripresero solo nel 1651, perchè intanto era scoppiata la sommossa popolare di Masaniello, durante la quale Cosimo Fanzago salvò la vita di Giuliano Finelli, ma poi, accusato di essere filo spagnolo, fu costretto a fuggire a Roma, dove si trattenne per circa tre anni.
Una ulteriore sospensione dei lavori vi fu nel 1656, a causa di una gravissima epidemia di peste che decimò la popolazione e che, come si dice, si fermò per intercessione di San Gaetano al quale venne dedicato per ringraziamento l’obelisco della piazza omonima, con statua di Cosimo Fanzago.
L’obelisco di San Gennaro è composto da una base con balaustra che presenta nella faccia esterna alla piazza un ovale con l’iscrizione di dedica al Santo. L’ovale ha la vaga forma di un cuore, forse per richiamare il cuore di Cristo, simbolo dei gesuiti. L’ovale è chiuso in una cornice abbracciata da una statua della sirena Partenope, rappresentata da un busto di donna con corona, ali e coda marina a scagli.
Segue una ‘colonna’, ottenuta ricoprendo con mattoni un’anima di ferro, chiusa alle due estremità da due blocchi monolitici di marmo cipollino con il compito di comprimere e rendere stabile la struttura. La colonna presenta lesene e vari ornamenti.
Al di sopra del capitello è presente un blocco di marmo cipollino in forma di parallelepipedo, ai quattro lati del quale vi sono altrettante statue di circa due metri di lunghezza, in forma di angioletti che mostrano verso il basso i simboli di San Gennaro. Il primo reca una per mano le due ampolle, il secondo la mitra e la stola in bronzo, il terzo il libro in marmo e la penna in bronzo, l’ultimo il pastorale in bronzo. Le quattro figure si presentano con un piede nel vuoto e l’altro appena appoggiato col tallone, dando l’impressione di essere in volo.