Accade ancora, accade puntualmente che lungo la temibile linea che s’interpone tra gli spari della camorra e il bersaglio da colpire vi finisca una vita innocente, avulsa da quelle illogiche logiche, colpevole solo di trovarsi al posto sbagliato in quell’attimo, fugace ed eterno. L’attimo più sbagliato per quella vita esente da colpe e responsabilità.
È accaduto lo scorso sabato, nell’ambito dell’omicidio del boss Pietro Esposito nel Rione Sanità.
Giovanni Catena: questo il nome dell’ultima vittima innocente ridotta in fin di vita dalla camorra.
I testimoni oculari dell’agguato riferiscono di aver visto il 29enne allontanarsi dalla piazza con le buste dell’immondizia in mano dopo aver concluso il turno di lavoro presso il piccolo pub “Pocho” dove presta servizio due volte a settimana, consegnando panini e aiutando il personale della cucina. Giovanni si è accasciato per terra e dalle prime parole pronunciate ai suoi soccorritori ha creduto di aver ricevuto una botta nello stomaco, come se il contenitore dei rifiuti gli fosse andato addosso.
«Non si può vivere con la paura di morire ad ogni angolo di strada, non ce la facciamo più». Con queste parole Fiorenza, la madre di Giovanni, commenta quanto accaduto suo figlio nell’ambito di un’intervista rilasciata a “Il Mattino”.
«Mio figlio non c’entra nulla con quello che è successo e al suo posto ci poteva essere chiunque dei nostri bambini, tutti sanno che è un bravo ragazzo e fa mille sacrifici per sostenere noi e la sua famiglia».
Nonostante il dolore consequenziale alla ferita, Giovanni si è alzato da terra per sedersi su una panchina dove alcuni passanti lo hanno raggiunto per trasportarlo in ospedale. «Nel quartiere tutti conoscono mio figlio – continua Fiorenza – sono anni che arriva a fare anche tre lavori a settimana per dare da mangiare alla moglie e al figlio piccolo di 7 anni, cercando mestieri sempre in maniera onesta e non è accettabile che un ragazzo possa rischiare la vita in questo modo». Giovanni è stato capo chef, ha trascorso una vita tra Marano e Napoli per non far mancare nulla alla famiglia e nei periodi di magra, non si è mai abbattuto accettando anche lavori saltuari ed umili.
«Siamo stanchi di essere abbandonati a noi stessi e di vivere nella paura – conclude la donna madre di 7 figli, di cui Giovanni è il secondogenito – dopo la morte di Genny Cesarano c’è stata una pattuglia della polizia per qualche giorno nel rione poi siamo ripiombati nel nulla».
Una denuncia forte che ben delinea l’effettiva realtà dei fatti.