Emergono nuove verità dall’inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano arrestato il 15 ottobre 2009 per possesso di droga, e deceduto sette giorni dopo all’ospedale romano, Sandro Pertini.
Sarebbero due i testimoni ‘in divisa’ che la famiglia di Stefano Cucchi è riuscita a portare dinnanzi ai magistrati; inoltre dopo l’iscrizione nel registro degli indagati di tre carabinieri per falsa testimonianza , una rivelazione arriva dalla consulenza tecnica del professore Carlo Masciocchi, presidente della Società Italiana di Radiologia: sul corpo di Stefano Cucchi c’è una “frattura recente” a livello lombare: «le fratture riscontrate sembrano essere assolutamente contestuali e possono essere definite, in modo temporale, come `recenti´», ovvero comprese in una `finestra temporale «che, dal momento del trauma all’esecuzione dell’indagine radiologica o di diagnostica per immagini, è compresa entro 7-15 giorni».
Spuntano dunque nuovi elementi sulla morte del giovane, che potrebbero segnare finalmente un punto di svolta per il caso. E per la prima volta nell’inchiesta, guidata ora dal pm Giovanni Musarò, vengono coinvolti anche i carabinieri. Inizialmente ci si era concentrati sulle eventuali responsabilità della polizia penitenziaria e dei medici del Pertini che ebbero in custodia Cucchi durante la detenzione e fino alla morte, con esiti contrastanti tra il giudizio di primo e di secondo grado.
Nel giugno 2013 la III Corte d’assise di Roma infatti aveva condannato per omicidio colposo i medici dell’ospedale romano: al primario del reparto protetto per i detenuti, Aldo Fierro, aveva inflitto due anni di reclusione, ai medici Stefania Corbi, Flaminia Bruno, Luigi De Marchis e Silvia Di Carlo un anno e 4 mesi ciascuno. Assolti gli infermieri Giuseppe Flauto, Elvira Martelli e Domenico Pepe, nonché gli agenti della polizia penitenziaria Nicola Minichini, Corrado Santantonio e Antonio Domenici.
Lo scorso Ottobre però, si assiste ad un ribaltamento della sentenza, assolvendo tutti gli imputati. Contro questo giudizio, la Procura generale e i familiari di Cucchi avevano depositato ricorso in Cassazione sollecitando una nuova inchiesta: valutando “la possibilità di svolgere ulteriori indagini al fine di accertare eventuali responsabilità di persone diverse da quelle già giudicate”.
Cucchi – secondo la corte presieduta da Mario Lucio D’Andria – “fu sottoposto ad una azione di percosse e non può essere definita una ‘astratta congettura’ l’ipotesi prospettata in primo grado, secondo cui l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che lo hanno avuto in custodia nella fase successiva alla perquisizione domiciliare”.
Il reato per cui si indaga ora, che aprirebbe dunque le porte a nuovi scenari nel caso, è nei confronti del vice comandante della stazione di Tor Sapienza, il maresciallo Roberto Mandolini, relativo alla falsa testimonianza: la sua deposizione infatti sulle perquisizioni domiciliari nei confronti di Stefano Cucchi e sulle ragioni del mancato fotosegnalamento del ragazzo, sarebbero parse in contraddizione con i fatti accertati.
Ci sarebbero poi altri due militari sui quali la procura capitolina guidata dal procuratore Giuseppe Pignatone vuole vederci chiaro. E proprio di Mandolini parlano i due carabinieri, un uomo e una donna, durante la loro testimonianza registrata dall’avvocato della famiglia Cucchi. La donna racconta di quando nelle ore successive all’arresto di Stefano ha incontrato nei corridoi della caserma un collega, che lei sostiene essere proprio Mandolini.
Quest’ultimo, racconta la testimone, era molto agitato e preoccupato e disse al suo superiore che «l’avevano(Cucchi )massacrato di botte, che dei carabinieri non si erano regolati a livello fisico e che a questo ragazzo cercavano di scaricarlo». La seconda testimonianza è quella del carabiniere. «È successo un casino, i ragazzi hanno combinato un casino», spiega all’avvocato il militare che ha aggiunto: «Non volevano nemmeno tenerlo nelle celle perché stava messo proprio male».