Mentre pensiline e bus dell’ANM seguitano a palesarsi come i bersagli più quotati di raid e sassaiole, incrementando ed esasperando, così, un clima già concitato ed invivibile come quello che si respira all’ombra del Vesuvio, per merito del cruento avvicendarsi di agguati di stampo camorristico, c’è una categoria che, adesso più che mai, sente il bisogno di dire la sua. In virtù di quanto seguita a verificarsi, difatti, nessuno meglio di coloro che rischiano la vita per garantire alla cittadinanza il trasporto pubblico, merita di far sentire la propria voce:
Egregia direttrice di NAPOLITAN,
mi chiamo Massimiliano Di Martino ho 46 anni e sono un tranviere dell’ANM, come sentiamo spesso dalle cronache cittadine, la mia categoria è vittima di continue violenze, spesso ci arrivano attraverso il finestrino, buste di liquidi di dubbia provenienza, pietre, botti, nel periodo di capodanno e uova marce a carnevale, e addirittura colpi di armi da fuoco, come succede sovente nel quartiere di Soccavo.
Questi sono indubbiamente gesti di inaudita violenza, ma vorrei approfittare di questo spazio per parlare della violenza in generale e non solo nei confronti della nostra categoria.
Ho lavorato per molti anni fuori Napoli e non passava giorno nel quale io non litigassi con tutti per difendere la mia città, che reputo la più bella al mondo, anzi direi unica, ma oramai il pessimismo, anzi direi il realismo, ha avuto la meglio. La violenza prevale su tutta la vita della mia città, la mia amatissima città: furti, scippi e rapine ai danni dei turisti e dei concittadini, i nostri studenti che frequentano edifici scolastici fatiscenti, sono soggetti a violenza, un ammalato che passa ore infinite su di una barella, subisce violenza, un disabile che vede ostacolati dalle auto gli scivoli ideati per facilitargli la vita, subisce violenza e anche le mamme e i pedoni che vedono i marciapiedi invasi dai motorini subiscono violenza. Un popolo che vive in una città sporca e invivibile è un popolo violentato.
Mi chiedo spesso, ma cosa funziona nella nostra città? Gli ospedali? I Trasporti? La nettezza urbana? È una città sicura?
Purtroppo niente di tutto questo, ma un’ultima speranza c’è e ognuno deve fare il proprio compito, le famiglie in primis, poi le istituzioni e noi cittadini, dobbiamo tutti e sottolineo tutti, diventare dei rivoluzionari, ma non prendendo ad esempio i personaggi di un passato alquanto remoto, piuttosto diventare i rivoluzionari del terzo millennio e secondo il mio modesto parere lo si diventa amando profondamente la nostra città, rispettando il prossimo anche con semplici gesti come quello di cedere il posto a persone anziane sui mezzi pubblici, rispettare l’orario di deposito dei sacchi della spazzatura, fare una certosina raccolta differenziata, indossare il casco in moto e le cinture di sicurezza in auto e rispettare questi benedetti semafori, evitare di dare fastidio con schiamazzi notturni e le forze dell’ordine devono aiutare tutti noi e viceversa.
Spesso sento persone dire di non sentirsi italiani, per un certo verso è vero, ma è pur vero che oramai siamo un’unica nazione da 154 anni, il nostro meridionalismo non dobbiamo perderlo, anche perché Napoli è stata in passato la culla del risorgimento, nella nostra città sono passati i migliori letterati e artisti del tempo e oggi con il nostro vivere contro ogni regola stiamo facendo dimenticare tutte le cose positive della nostra gloriosissima storia.
Ritornando al mio lavoro, molti dei miei concittadini da quando hanno eliminato il bigliettaio sui bus hanno intuito questo gesto come un diritto ad essere “portoghese”, peraltro sono i peggiori utenti del trasporto, in quanto si lamentano delle lunghe attese, non riuscendo a capire che forse la colpa maggiore dello sfascio del trasporto a Napoli è proprio loro, anche se penso che i politici susseguitisi in questi anni alla regione e al comune hanno fatto di tutto per mangiarsi la città e che sicuramente hanno tradito noi e le nostre aspettative.
Come dicono gli infallibili detti napoletani: “aiutati ca Dio t’aiuta”, rimbocchiamoci le maniche, il terzo millennio è cominciato da 15 anni e noi siamo ancora fermi al palo, anzi abbiamo fatto un salto indietro di vari decenni.
Reagiamo all’incalzante incivile anarchia, facciamo sentire una nullità chi si comporta come in uno stato di diritto, arrecandosi la presunzione di poter fare tutto e il contrario di tutto, abbiamo tutti dei doveri verso la nostra citta, i nostri figli e il nostro futuro. Se falliremo saremo costretti tutti a vivere nelle fiamme dell’inferno, ma non potremo mai dire di non averci provato.