Libero: un nome che preannuncia e sintetizza tanto e tante cose circa l’indole di una persona.
Libero Grassi: un nome che ricorda e sottolinea tanto e tante cose circa la lotta ad armi impari che un’anima incapace di rinunciare alla libertà può intraprendere contro il volto più violento e truculento del crimine.
Un imprenditore onesto e animato da profondo impegno civile, lasciato solo a combattere quella alare battaglia contro cosa nostra. Nato a Catania, Libero Grassi si distinse per la ferma opposizione al fascismo durante la Seconda guerra mondiale, che in seguito lo portò a impegnarsi attivamente in politica con il Partito Repubblicano e scrivere su diversi giornali. Figlio di un commerciante, scelse anch’egli la carriera imprenditoriale, aprendo uno stabilimento tessile a Palermo. Ciò lo portò a scontrarsi con l’infame sistema del “pizzo”, imposto dalla mafia e al quale si ribellò con fermezza, denunciando i suoi estorsori. Attorno a lui, sia da parte delle istituzioni locali che delle associazioni di categoria, non riscontrò alcun sostegno. Intervistato dal giornalista Michele Santoro durante la trasmissione “Samarcanda”, l’11 aprile del 1991, quattro mesi dopo fu assassinato per ordine dei boss di cosa nostra. A segnare la sua condanna a morte fu una lettera pubblicata sul “Giornale di Sicilia”, assurta a manifesto della lotta contro il pizzo.
Alle 7,30 il silenzio che avvolge via Vittorio Alfieri, nel cuore del centro storico di Palermo, è interrotto da tre colpi di pistola. Due individui scappano e sul marciapiede rimane il corpo senza vita di un uomo. Libero Grassi, titolare dell’impresa Sigma, è assassinato a due passi dalla sua abitazione, per mano della mafia (l’esecutore materiale viene riconosciuto più tardi in Salvatore Madonia) contro cui ha lottato fino alla fine, rifiutandosi di pagare il pizzo e denunciando i suoi estorsori. Il giorno dopo il Corriere della Sera pubblica una sua lettera, dove accusa le associazioni di categoria di averlo lasciato solo nella lotta al racket delle tangenti imposte a commercianti e imprenditori.
«Caro estortore,
volevo avvertire il nostro ignoto estortore di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l’acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere… Se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al “Geometra Anzalone” e diremo no a tutti quelli come lui»
Sposato e con due figli, Grassi era diventato un riferimento della lotta alla mafia, in particolare dopo la lettera pubblicata sul quotidiano Il Giornale di Sicilia, in cui affrontava con determinazione gli aguzzini che, sotto la fittizia identità del “ragionier Anzalone”, gli avevano chiesto un contributo di 50 milioni per i carcerati. Lo stesso Grassi aveva contribuito all’arresto dei suoi estorsori fornendo una descrizione dettagliata agli investigatori. Significative le sue parole dette nel corso di un’intervista per Samarcanda di Michele Santoro: «Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità. Non divido le mie scelte con i mafiosi». Gli sarà unanimemente riconosciuto il merito di aver dato vita alla lotta contro il pizzo, raccolta successivamente da numerose associazioni antiracket ispiratesi alla sua figura.
Libero Grassi non pensava di essere un eroe Libero, solo un uomo qualunque, un ‘mercante’, un imprenditore, che dice no al pizzo, perché risponde alle logiche di mercato, non alle imposizioni di Cosa nostra.