Storie di umana disperazione che si consumano dapprima in un mare d’inumana indifferenza e poi in quell’infinita distesa di acqua e sale, capace di spalancare le fauci ed azzannare flebili vite.
Una nuova strage si è consumata in mare nel giorno di Ferragosto. Su un barcone stracarico soccorso da una nave della Marina italiana a poche miglia dalla costa libica sono stati rinvenuti alcune decine di cadaveri nella stiva (almeno 40 secondo le prime stime).
La morte, probabilmente, sarebbe sopraggiunta per soffocamento.
Il pattugliatore Cigala Fulgosi è intervenuto in mattinata a circa 20 miglia dalle coste della Libia, dove una piccola imbarcazione con quasi 400 persone stipate si trovava in difficoltà. Tratti in salvo 312 persone, tra cui 45 donne e 3 minori, ma nella stiva c’erano tanti cadaveri. Otto sono stati finora recuperati. Morti, probabilmente, per l’inalazione di combustibile. Scena raccapricciante, secondo i soccorritori della Marina. E a morire è stato chi non poteva permettersi di pagare abbastanza per stare sul ponte del barcone.
Proprio ieri l’Oim (Organizzazione internazionale migrazioni) aveva definito il canale di Sicilia “la rotta più letale al mondo” per chi fugge da violenze, disastri e povertà: almeno 2.300 le vittime dall’inizio dell’anno, 500 in più dello scorso anno. Ed oggi il numero sale ancora.
Mentre l’Italia, l’Europa, il mondo, stanno a guardare.