Li chiamano “baby-camorristi”, ma l’indole fin qui palesata dalla più giovane rappresentanza del braccio armato della criminalità dimostra sfaccettature tutt’altro che “da svezzare”: irruenti, feroci, assetati di sangue ed affamati dal desiderio di conquistare la tanto contesa egemonia del territorio.
Le nuove leve contro i vecchi capi: questo è quanto genera l’escalation di morte e spari alla quale, con sempre più frequente incidenza, stiamo assistendo, impotenti, negli ultimi tempi.
Questa la trama proposta da “Gomorra”, la celeberrima fiction ambientata all’ombra del Vesuvio e che trae ispirazione proprio dagli intrecci camorristici.
Questa è la storia più allarmante proposta dalla vita reale che si sta consumando lungo i vicoli di Napoli.
La striscia di sangue generata dall’ultima e virulenta faida di camorra, sgorga dal cuore del centro storico, Forcella, i Decumani, per lambire, scalfire e contaminare i Tribunali, Porta Capuana, la Duchesca, il Vasto, Piazza Mancini.
Ad animare le strade tra le quali, nel giro di pochi attimi, spari e sangue disseminano orrore e terrore, tra la gente comune, ci sono loro, i protagonisti, gli ideatori, i fautori di questa nuova guerra di camorra: ragazzi, ragazzini, giovanissimi che senza scrupoli professano una conclamata irriverenza che li induce a non fermarsi davanti a nulla, a non aver paura di nulla. Escono di casa con la pistola nei pantaloni e dimostrano di saperla e volerla adoperare con estrema e temibile disinvoltura. Alla base della disputa in corso, non solo “l’odio” che notoriamente anima e contraddistingue la rivalità tra clan antagonisti, ma anche quel salto generazionale che li separa dai “vecchi” gregari affiliati al sempre potente clan Mazzarella.
Giovani animati dalla consapevolezza di consumare una vita labile e sempre più minata dall’imminente pericolo di finire tramortiti al suolo per effetto di quel trambusto di proiettili, barbarie e polvere da sparo che, sovente, stronca la vita di un camorrista.
Sette omicidi, tre dei quali consumatisi solo nel mese di luglio, decine di feriti, nell’ambito degli innumerevoli raid fin qui messi a segno e le premesse che aleggiano all’ombra del Vesuvio lasciano presagire che questa lugubre scia di sangue sia senz’altro destinata ad allungarsi. Alla base di tutto, la ribellione dei più giovani affiliati del clan Sibillo-Giuliano. È così che si è giunti alla guerra di camorra che si combatte ormai a ogni ora del giorno e della notte a Napoli e che ha repentinamente mutato il volto di questa città.
Quanto fin qui avvenuto, consegna indizi ed informazioni frammentarie e sconclusionate, difficili da incastonare in un filo logico utile a ridisegnare alleanze, rivalità, dinamiche.
Il blitz dello scorso 9 giugno che smantellò il clan dei giovanissimi capeggiato dagli eredi di terza generazione della famiglia Giuliano, sembrava aver inferto un colpo letale al clan dei baby-camorristi. E invece, a distanza di oltre un mese, i volti più giovani della criminalità organizzata continuano a manifestare in maniera anche più che eloquente la loro presenza. Questo, probabilmente, in qualche modo, attribuirebbe un senso agli agguati nell’ambito dei quali hanno perso la vita giovani, i cui nomi non erano mai stati precedentemente accostati alle dinamiche camorristiche. E, anche questa, è una scena già raccontata dalla fiction.
Il controllo del racket delle estorsioni e delle piazze di spaccio: questo l’oggetto della disputa tra i vecchi e i nuovi camorristi. Un bottino dalla portata più che lauta e che ha fatto completamente saltare equilibri, schemi, gerarchie. Tutti contro tutti, come nella più classica e disperata delle lotte per la sopravvivenza, nell’ambito della quale, a dettare le regole, non è la legge del più forte, ma del più folle.
Un gioco al massacro, spietato, feroce, galvanizzato dalla mendace illusione di poter ambire alla poltrona del potere: questo carica le pistole dei baby-camorristi, prima ancora dei proiettili. Questa è l’arma più temibile che plagia le giovani menti di quegli aspiranti “Genny Savastano”.
L’emblema di quest’escalation di sangue, morte e terrore è personificata dalla doppietta messa a segno nell’arco di 24 ore: due omicidi, tra il 30 e il 31 luglio, tra la centralissima piazza Garibaldi, ovvero, nei pressi del famigerato mercato della Duchesca e Porta Capuana.
Due morti e un ferito: il più anziano aveva 37 anni, il più giovane appena 22. Delitti che raccontano bene come, nel caos generale e nel clima di anarchia criminale spesso difficile da inquadrare per gli stessi inquirenti, la situazione si stia delineando nel modo che segue: da un lato i baby camorristi, dall’altro i fedelissimi del clan Mazzarella che hanno ricompattato le fila, serrato i ranghi e iniziato quella che nel marketing della camorra potrebbe definirsi l’“operazione piazze pulite”.
Emanuele Sibillo, sfuggito al blitz di giugno e assassinato a inizio luglio, aveva solo 19 anni e sognava di prendersi tutto il centro storico. Oggi per quegli stessi vicoli in cui fu massacrato si aggira il fratello Pasquale che – raccontano fonti bene informate – ha deciso di vendicarlo, costi quel che costi.
In quegli stessi vicoli – è bene ricordarlo – anni addietro, raggiunta da un proiettile al cranio, perse la vita anche una ragazzina di 14 anni che si chiamava Annalisa Durante e che era del tutto estranea a quelle dinamiche che si regolano a suon di angherie e spari.
Già. È bene ricordarlo a chi ha il dovere di salvaguardare l’incolumità della maggioranza della popolazione napoletana: “quelli come Annalisa Durante,” quelli fatti della stessa pasta delle innumerevoli vittime innocenti della camorra. Un clima irreale quello che tiene in ostaggio il “diritto di quieto vivere” dei napoletani: c’è chi spara a vista e chi invece, specie dopo il tramonto, fa fuoco contro le finestre e gli usci delle abitazioni dei nemici per intimidirli.
È doveroso, legittimo ed opportuno sottolinearlo in maniera chiara e senza indugi: Napoli personifica un’emergenza nazionale che esige di essere affrontata nell’immediato.