Dal primo luglio, se non rimborserà gli 1,6 miliardi di euro che deve al Fondo Monetario Internazionale, la Grecia entrerà in default e la stessa Fmi non intende concedere nessun “periodo di grazia” ad Atene.
Secondo gli esperti, il default scatenerà forti turbolenze sui mercati finanziari, sulla cui entità, non essendoci storicamente nessun metro di confronto, gli analisti fanno fatica a pronunciarsi con sicurezza. Inevitabilmente il timore di una Grecia in uscita, provocherà una corsa agli sportelli delle banche da parte dei risparmiatori greci (peraltro già iniziata) e le autorità di Atene per frenare la fuga di capitali saranno costrette a introdurre forti controlli sui flussi finanziari bancari. Inoltre il default riguarderà sicuramente il mancato pagamento dei debiti all’Fmi, mentre non scatterà automaticamente sui prestiti dell’Eurozona alla Grecia.
«La prospettiva resta quella di un’Eurozona a 19 membri» dichiara il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker.
«Se fallisce l’Euro, fallisce l’Europa», dichiara la cancelliera Angela Merkel, dopo aver avuto un colloquio telefonico con il presidente del Stati Uniti, Barack Obama, che ha chiesto ulteriori sforzi per riaprire il negoziato con il paese ellenico, evitandone fallimento e uscita dalla moneta unica. Iniziative anche a livello di parlamento europeo, con i capigruppo che hanno chiesto a Juncker di convocare un Eurosummit straordinario.
L’impressione è che il lunedì più nero della storia della moneta unica si avvii verso una conclusione all’insegna della speranza per la riapertura di una trattativa. Le ore sono contate, letteralmente. La rottura delle trattative implica la fine del piano di salvataggio, in assenza del quale la BCE non eroga più liquidità alle banche greche (ma non nega quella già concessa, anche nelle ultimissime settimane).
Atene ha chiesto di prolungare la scadenza del bailout (il salvataggio) di qualche giorno, per consentire lo svolgimento del referendum del 5 luglio. Analoghe richieste da parte del governo greco erano già state formulate negli ultimi giorni, ma rifiutate. Ora, invece, sembra che le porte non siano del tutto chiuse. Il premier ellenico Alexis Tsipras ha telefonato a Juncker chiedendo anche di ristabilire le condizioni di liquidità per consentire l’operatività delle banche.
«Ostruire l’espressione democratica del popolo greco chiudendo le banche va contro la tradizione democratica dell’Europa» avrebbe argomentato il premier greco al collega europeo, secondo quanto si apprende.
Un simile evento innescherebbe una reazione a catena le cui conseguenze, complesse da prevedere anche in termini di dinamiche, darebbero, almeno nel breve periodo, il colpo di grazia a una Grecia già devastata da anni di sprechi prima e di austerità poi. Né a Bruxelles, né a Washington, né a Francoforte possono continuare a fingere che il problema non si ponga, come è accaduto per molti mesi.
La stessa cancelliera tedesca Merkel ha parlato di «diritto legittimo del governo greco» a «prevedere un referendum», aggiungendo che: «l’Euro non fallisce per un referendum in Grecia, ma fallirebbe se riducessimo ulteriormente i vincoli», concludendo che «l’Europa vive della capacità di trovare accordi».