Il Ragù, che nella lingua partenopea, viene detto ‘0 rraù, è forse la ricetta più sacra della cucina napoletana, quella che unisce tutti nel rito del “cuzzetiell e pan cafone” inzuppato nel succulento sugo la domenica mattina e che richiama nella mente dei più, i ricordi d’infanzia.
Il Ragú napoletano è molto diverso da tutti gli altri ragú di carne, pure ottimi, di cui è ricca la cucina italiana.
E’ diverso per gli ingredienti, per la lunga preparazione, per l’estrema attenzione che richiede, per quella tipica fase di cottura detta del peppiare ed infine per l’aroma che purtroppo sempre più raramente si diffonde, il sabato sera, nelle scale dei palazzi di Napoli, dove, nell’ultimo decennio, sono giunti gli anatemi di tutti i nutrizionisti mediatici che hanno convinto anche i poveri napoletani, a bandire dal loro desco domenicale questa sontuosa salsa, per sostituirla con insipide salsine bollite, senza nerbo e gusto, prive di grassi animali e con poco sale, che mai e poi mai, potranno convolare a felici nozze con i tronfi maccarune ‘e zite spezzati a mano.
Fortunatamente ci sono ancora dei napoletani d’annata che, come carbonari o cospiratori del tempo andato, continuano a parlare e talvolta a preparare mitici Ragú come tradizione comanda!
Molte illustri personalità della letteratura e dell’arte lo hanno celebrato, a partire dal grande Eduardo, con la sua poesia ‘O rraù a don Peppino Marotta che usava dire: “Il ragú non si prepara, ma si consegue quasi che lo si raggiunga o conquisti alla stregua di una promozione o un successo!”
La ricetta del ragù è una di quelle nozioni che appartiene al corredo base di ogni famiglia napoletana e da generazioni si tramanda da “madre in figlia”. Ogni famiglia ha dunque la sua ricetta particolare, custodita segretamente e che viene considerata in assoluto la migliore. Sono guai poi se per effetto di un matrimonio si incontrano due varianti diverse del pregiato oro rosso: “chi glielo dice che quello che piace a me lo faceva solo mammà?”
PEPPIARE (peppià) è un termine tipicamente partenopeo, dalle proprietà onomatopeiche.
Col termine peppiare si indica quella lunga fase di cottura del ragú napoletano, rappresentato dall’affioramento continuo delle bolle d’aria che dal fondo della pentola, dove è in cottura la salsa di carne e pomodoro, salgono in superficie. Al culmine della tensione si rompono producendo un suono simile a quello che produce chi tira una boccata di fumo dalla pipa.
L’italiano traduce in maniera piuttosto imprecisa e superficiale: sobbollire.
Un ragú napoletano che sobbollisse e non peppiasse, non sarebbe un vero ragú.
Il segreto per far peppiare la salsa sta nel tenere la fiamma piuttosto bassa e nel poggiare un lato del coperchio su un cucchiaio di legno, posto di traverso sul bordo della pentola, in modo che si crei una piccola circolazione d’aria che impedisca alla salsa di attingere forza dal fuoco e le impedisca di precipitare nel bollore cosa che rovinerebbe tutta la faccenda.
Solo dopo che la salsa abbia peppiato per piú di 6 ore (2 il sabato sera e 4 la domenica mattina) e si sia verificato lo strano fenomeno della separazione dell’olio e dello strutto che affiorano in superficie lasciando il sugo di pomodoro nel fondo della pentola, si può esser certi che il ragú si sia conseguito e dopo una veloce rimestata con il fido cucchiaio di legno, si potrà spegnere il fuoco .